Nel 2004 avevo 25 anni, mi ero da poco laureata e lavoravo nel customer care di una grande multinazionale, di quelle che seducono te e tutta la tua famiglia in giovane età promettendoti carriera e un posto “sicuro”: una di quelle del Nord-Est, imponenti, con i vetri specchiati. Eravamo tanti, tantissimi pesci in un solo acquario: così lo chiamavano quel cubo costruito lungo la statale appena fuori da Pordenone.
Insomma, nuotavo nei bassi fondi del grande palazzo e solo dopo qualche mese avevo già mangiato così tanto fango che neanche una carpa nel Po. Trovavo asfissiante tutto, dalla a alla z: la sveglia alle 6 del mattino, le 2 ore di strada spesso dense di nebbia, ricevere una media di 100 telefonate al giorno di gente lamentosa e infine dover sottostare ad una routine senza scampo: 8-13-mensa-14-17.
Stavo meglio qualche mese prima, studentessa in stage, a 600 euro al mese in giro per l’Italia.
Lì invece ero una “customer care-girl”, mi occupavo di fornire supporto a tutto il popolo incattivito d’Italia che chiamava per due motivi: o era inferocito perché aveva qualcosa di rotto da riparare oppure era inferocito e basta (e in questo caso quasi sempre telefonava da Milano).
Fu in quegli anni che imparai a riconoscere che dietro allo 081 c’è Napoli, che lo 080 è pugliese e che chi dice “tennico” al posto di tecnico è lumbard.
Il mio compito era sedarli, raccogliere la richiesta spesso incomprensibile (la lavatrice cammina, il frigo fa acqua, il forno brucia…), elaborarla, interpellare l’ufficio di competenza e chiudere il caso, per 8 ore al giorno. Talvolta chiamava qualcuno che richiedeva solo un libretto istruzioni e a me pareva un’iniezione di morfina.
Quando rientravo la sera a Treviso pensavo ad una sola cosa: “scurdammoce ‘o passato” e mettere le mani nella farina.
Avevo una fissa per i torcetti e oggi, a posteriori, trovo ci sia qualcosa di allegorico nella cosa.
Due anni di agonia che sfociarono in una malattia immaginaria, una specie di nodo in gola che mi impediva di deglutire, di respirare e, guarda caso, anche di parlare serenamente al telefono.
“Signorina, non hanno nulla le sue corde vocali” mi disse l’ennesimo medico di turno interpellato.
“Ma a me sembra di soffocare, non riesco neppure a deglutire durante il giorno!”
“Fisicamente non c’è nulla che non va, forse il problema è un altro? Ci pensi.”
E poco dopo ci pensai seriamente, quindi mollai le cuffiette e il microfono e lasciai – fu la prima delle mie due volte – il posto sicuro nella teca di cristallo per uno precario ma libero e randagio. Il nodo alla gola non so dire esattamente quando sparì: un giorno mi sorpresi a pensare che non sentivo più quella pressione e capii che avevo trovato la medicina giusta senza aprire alcun blister ma solo chiudendomi una porta alle spalle.
Di quei tempi conservo in ogni caso anche qualche bel ricordo: per esempio colleghe che mi volevano bene e un capo anti-sistema che con onestà cercava, prima di qualsiasi altra incombenza, di prendersi cura delle sue persone.
Da quel giorno a venire non ne avrei conosciuti altri.
Oltre a questo, un foglio stampato che conservo tra le pagine plastificate dei mie raccoglitori di cucina: una email ricevuta da un collega, tale Giovanni Santarossa. I destinatari erano tanti, ovvero tutti coloro che avevano spezzato la mattina di lavoro per recarsi al secondo piano per partecipare al piccolo rinfresco per il suo compleanno.
“A gentile richiesta, vi invio la ricetta della torta che avete assaporato oggi. Baci! Gianni.”
Era il 13/1/2004.
A distanza di quasi 19 anni da quel giorno era ora facesse capolino su queste pagine, perché di tante similari provate nel tempo questa ricetta resta per me la migliore.
NOTE
La ricetta originale “torta al radicchio” è stata leggermente modificata per diventare la mia Torta al radicchio rosso di Treviso e burro nocciola.
Ho realizzato il burro nocciola per darle più intensità di gusto ed ho aggiunto la noce moscata, il limone e un cucchiaio di grappa.
Se si preferisce è possibile omettere questi 3 ultimi ingredienti e fondere solamente il burro senza fare tutta l’operazione sotto indicata.
Inoltre la ricetta di partenza suggerisce di usare un generico radicchio, nel caso anche quello amaro.
Se ami le torte semplici, veloci e gustose ti suggerisco di provare anche la torta di Arance e Mandorle oppure la Torta Barozzi.
TORTA AL RADICCHIO ROSSO DI TREVISO E BURRO NOCCIOLA
Ingredienti
300 g farina tipo 1 Grandi Mulini Italiani
200 g burro
200 g zucchero semolato
250 g radicchio rosso di Treviso (circa 2 cespi)
2 uova a temp. ambiente
qualche grattugiata di noce moscata
buccia di limone grattugiata
1 cucchiaio di grappa
2 prese di sale
1 bustina di lievito
Procedimento
Per preparare la Torta al radicchio rosso di Treviso e burro nocciola inizia fondendo il burro in un pentolino fino a fargli prendere un bel colore nocciola, muovendolo sempre con una frusta per evitare che bruci.
Appena brunisce toglilo dal fuoco e filtralo scartando le parti bruciate. Lascialo intiepidire.
Frulla a impulsi brevissimi il radicchio lavato e privato del gambo. Non deve diventare una purea.
Setaccia insieme farina, lievito, sale e noce moscata. Aggiungi lo zucchero e mescola.
In un’altra ciotola mescola uova, burro fuso, grappa e scorza di limone.
Versa i liquidi nelle polveri e, solo all’ultimo, aggiungi il radicchio tritato incorporandolo con una spatola.
Versa il tutto nello stampo a ciambella da circa 22 cm di diametro precedentemente imburrato e spolverizzato di farina e cuoci a 180° mod. ventilata, per 35/40 minuti facendo la prova stecchino prima di estrarlo.
Lascia intiepidire per circa 10 minuti e poi capovolgi.
Spolverizza con zucchero a velo.
Lo sai che il 20 Dicembre 2020 è uscito il mio primo libro?
Parla di cambio vita, di Sicilia, di Francia, di Danimarca… di persone che amano lavorare con il cuore e… anche di ricette.
Sono fiera della mia creatura. 🙂
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