Mancano solo pochi giorni al rituale del panevìn, l’alto “panettone” di sterpaglie e legna accatastata, piazzato in mezzo ai campi ghiacciati, alla cui base viene appiccato il fuoco la sera del 5 gennaio in alcune zone del nord Italia.
Mai come in questo momento sembra quasi urgente l’esigenza di avvertire negli occhi le fiamme del vecchio che brucia, quel tempo appena passato di cui non desideriamo conservare alcune ricordo, ma solo la cenere.
Voci dicono che non si farà e solo il dubbio mi è bastato per spingermi ad infornare teglie su teglie di Pinza, quel dolce della tradizione contadina che da sempre, invece, ricevo in omaggio da mia suocera il 6 Gennaio.
Alle 21 di sera del 5 Gennaio di ogni anno, mamma ci metteva sciarpa e berretto e ci lasciava andare con papà a vedere quel grande falò che gente della comunità aveva posizionato nei giorni precedenti nel mezzo del piazzale della chiesa. Guardando attraverso le fiamme calde a volte riconoscevo i visi di alcuni vicini di casa, di compagni di scuola, l’edicolante o il proprietario del bar del quartiere.
Era un momento che vivevamo in compagnia ma in silenzio, unanimemente assorti nella visione di quel rituale per i più vecchi semanticamente purificatore e agli occhi di noi piccoli forse, semplicemente, “incredibile”.
Prima di incamminarci nuovamente verso casa con i cappotti ed i capelli affumicati, passavamo dal banchetto per un sorso di brûlé caldo e qualche pezzetto di pinza che, immancabilmente, io e Laura mandavamo giù con la bocca storta. Non era obbligatorio mangiarla e nessuno ci obbligava a prenderla (tanto che neppure a papà piaceva), ma così voleva la tradizione e così facevamo anche noi.
Mentre mia sorella si rammaricava di aver confuso l’uvetta con il cioccolato, io trovavo ripugnante l’idea di affondare i denti in un pastone freddino, gommoso e dal mix non ben definito che pure mi ricordava quello che attaccavo all’amo per prendere le trote in estate.
Cosa ci fosse dentro ho cominciato a chiedermelo con un certo interesse solo qualche giorno fa, persa nella ricerca d’informazioni storiche relative alla nascita di questo dolce che si usa consumare in veneto il giorno della Befana.
Certa di non sbagliare, qualche pomeriggio fa ho sfilato dalla libreria il mio “testo verità” in fatto di cucina locale: “A tola co i nostri veci”.
Insieme al testo ho preso carta e penna e sono finita a fare quello che faccio sempre prima di dedicarmi ad una ricetta mai eseguita prima: una sorta di tabella riepilogativa. Nelle celle della riga in alto inserisco, una accanto all’altra, il nome della fonte di ogni ricetta, nelle celle della colonna di sinistra inserisco tante righe quanti sono gli ingredienti comuni e non comuni ad ogni ricetta e nelle celle che collegano fonte della ricetta e tipologia di ingrediente, la grammatura prevista da ciascuna.
Avevo fatto questo esercizio anche l’anno scorso, trovandomi a confrontare versioni differenti di uno stesso biscotto, il bussolà veneziano (trovi la ricetta QUI) e, anche in quell’occasione, ero finita a “tirare” le stesse conclusioni: una ricetta originale della Pinza veneta non esiste.
Questo è un fatto che viene chiarito subito dai nomi di alcune delle versioni tramandate nel tempo e contenute nel bellissimo libro di Mariù Salvatori de Zuliani: la Pinza de San Donà de Piave (casa Dott. Toni Del Negro), la pinza rustega contadina (maniera de Noventa de Piave), la Pinza dolse (casa ammiraglio Zarpellon – Bassano del grappa), la Pinza venessiana e la pinsa venessiana di casa de Zuliani.
Per non farmi mancare nulla ho aggiunto a questa lista anche qualche altra colonna: la pinza della Giuse (una donna che in fatto di tradizioni locali trevigiane ne sa quanto un’enciclopedia) e la pinza di mia suocera, che tuttavia questa volta ero consapevole di dover prendere con le pinze, mi si perdoni il gioco di parole. Intendiamoci: quella di mia suocera forse resta la versione che amo di più, ma ho sempre nutrito il serio dubbio che i nostri bisnonni potessero disporre di tutto quel ben di Dio che lei ci mette dentro. La sua è la versione modernamente ricca dell’autentico dolce povero: proprio come lo sono i bussolà dolci che comunemente troviamo in commercio. Mi lancio nella banalità di affermare che una volta si faceva con ciò che si aveva e certamente c’erano famiglie che potevano di più e famiglie che potevano di meno, anche solo in fatto di ingredienti con cui dar vita ad un dolce. Non c’è da stupirsi se dunque in alcune versioni sono assenti ingredienti d’uso meno comune.
Quali sono dunque quelli più frequenti nelle varie versioni venete della pinza? Sicuramente la farina bianca, la farina gialla da polenta (naturalmente non istantanea), il latte, l’uvetta, le uova, i pinoli, una parte alcolica (tipo la grappa), lo zucchero, il burro (o lo strutto), i semi di finocchio e i cedrini. Meno comuni la mela e i fichi secchi e totalmente assenti l’arancia candita, le mandorle e le noci.
Quale versione della Pinza ho scelto? Quella della casa dell’Ammiraglio Zarpellon di Bassano del Grappa, con una sola, piccola licenza personale, l’uso dell’arancia candita e dei fichi al posto dei cedrini che nel supermercato della mia “zona rossa” non erano disponibili e la grappa al posto del Maraschino. Tutto sommato una scelta che onora il modo di approcciare la cucina del passato, quando si faceva il meglio che si poteva con ciò che si aveva.
Vi lascio con la ricetta della Pinza e vin brûlé della tradizione veneta: il dolce e la bevanda tipici del giorno della “marantega” (per i non veneti il giorno della befana). Nel libro consultato non sono presenti le grammature: le ho quindi ricostruite sulla base di alcune frequenti proporzioni riscontrate in altre ricette.
RICETTA
PINZA E VIN BRÛLÉ DELLA TRADIZIONE VENETA
Per la pinza della tradizione veneta
Ingredienti
4 fichi secchi
70 g uvetta sultanina
50 g pinoli
70 g scorza di cedro candito (io arancia candita)
50 g grappa
80 g burro + alcuni fiocchetti per la superficie
1 mela piccola
70 g zucchero semolato
180 g farina gialla per polenta (di qualità)
70 g di farina bianca
800 ml latte intero
2 pizzichi di sale
1 cucchiaio abbondante di semi di finocchio + un po’ per la superficie
Prepara la frutta secca
Sciacqua l’uvetta, poi mettila in una ciotola insieme alla grappa e ai semi di finocchio.
Taglia a cubetti le scorze d’arancia e i fichi secchi e aggiungili nella ciotola dell’uvetta. Lascia macerare il tutto.
Lava, sbuccia e taglia la mela a piccoli cubetti.
Taglia anche il burro a cubetti e pesa lo zucchero. Tieni tutto da parte.
Prepara la polenta
Setaccia le farine assieme su un foglio di carta forno.
Versa il latte in una casseruola capiente con il sale e porta a bollore.
Quando vedi le bollicine venire in superficie versa a pioggia, un po’ alla volta, le farine setacciate e mescola con un mestolo di legno.
Cuoci la polenta per circa 20 minuti: otterrai una polentina piuttosto fissa.
Incorpora la frutta secca
Quando i 20 minuti saranno trascorsi, aggiungi i cubetti di burro, lo zucchero e i dadini di mela. Incorpora bene, quindi togli dal fuoco e incorpora tutta la frutta macerata e il liquore usato per macerare.
Amalgama bene il tutto con il mestolo, poi a cucchiaiate versa subito il composto in una tortiera o pirofila diametro 23/24 cm circa imburrata e spolverizzata di zucchero oppure foderata con carta forno.
Versa nello stampo e inforna
Con il dorso di un cucchiaio bagnato d’acqua (oppure con le mani bagnate di grappa) , livella la superficie della pinza, spolverizza con un po’ di semi di finocchio, qualche fiocchetto di burro e qualche pizzico di zucchero.
Cuoci in forno preriscaldato a 180°C per circa un’ora: dovrà risultare bella dorata in superficie.
Lascia raffreddare.
La pinza prende più gusto dopo una giornata di riposo.
Per il vin brûlé
INGREDIENTI
750 ml di vino rosso
120 g di zucchero semolato
1/2 arancia non trattata e della restante metà solo la scorza
1/2 limone non trattato e della restante metà solo la scorza
1 mela non trattata tagliata in due
qualche grattugiata di noce moscata
8 chiodi di garofano
2 pezzi di anice stellato
2 stecche di cannella
PROCEDIMENTO
In una casseruola capiente versa il vino e tutti gli altri ingredienti.
Poni sul fuoco. Una volta raggiunto il bollore lascia ridurre per circa 15 minuti.
Versa il vin brulè ben caldo nei bicchieri, decora con fettine di mela o arancia o limone e qualche pezzetto di cannella.
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