Onore a chi smette di programmare la sua vita come una lavatrice.
Una riflessione nata percorrendo gli ultimi km di una settimana di attraversamenti della penisola: da nord a sud e da sud a nord come un Pac Man impazzito che fagocita tutto ciò che può essere fagocitato.
Esattamente come capita al peggiore dei fumatori che, una volta spenta l’ultima sigaretta, si avventa con appetito insaziabile contro il frigorifero, così io, smesso il desiderio di abbandonarmi all’ingordigia della mandibola da praticare con le gambe sotto al tavolo, ho cominciato a trovare immensamente gratificante assecondare il bisogno improvviso di raggiungere qualsiasi meta del Paese saziasse il mio bisogno di originalità e bellezza. Vabbè, come se fosse solo il cambio di alimentazione ad avermi dato benzina per tornare a sentire, nell’anima e nel corpo, lo spirito di una giovane marmotta. No, non è così, ma certi affari non si mettono in piazza, quindi restiamo d’accordo sul fatto che è tutto merito dei quotidiani kg di frutta e verdura.
La mia estate quest’anno quindi è iniziata proprio così: da vagabonda. Esattamente al contrario di come me l’ero dipinta, il negativo della fotografia che avevo scattato.
Einstein diceva che la logica ci porta da A a B mentre l’immaginazione ci può condurre dappertutto.
Altrochè, specie quando ti sei sentita per tanti mesi un uccello in gabbia e ora non vedi più grate intorno a te, e la sola idea che qualcuno possa sollevarne una ti fa scattare l’urgenza di armarti più di Rambo.
Perché in fondo ti sei leccata le ferite a lungo, hai giocato a ping pong con l’immaginazione fino allo stordimento, hai programmato e riprogrammato, come il più meticoloso dei contabili, ogni mossa del tuo riscatto e ora sai che puoi; tu puoi tutto e senza chiedere a nessuno. Ma esattamente quando è diventato normale che la libertà sembrasse un dono?
No, inutile rispondere, quindi torniamo al punto: io quest’estate me l’ero immaginata in altro modo.
I primi di maggio battevo sulla tastiera nomi come Loira, Bordeaux, Honfleur… piantavo bandierine sulle mappe di google disegnando percorsi che falciavano la Francia in lungo e in largo con una sola certezza: sarei capitolata solo sulle spiagge della Normandia. Pallida come una seppia e seducente come una cozza, magari, ma avrei comunque riscattato me stessa, nell’immenso ventoso silenzio delle coste atlantiche.
Sarei tornata ad Agosto magari più burrosa, ma anche solitaria e consapevole, una combinazione che in qualche punto non mi convinceva del tutto. Per questo, forse, sul finire di giugno ho cominciato a tradire l’unica promessa solenne che mi ero fatta per l’estate: non accettare alcun lavoro extra rispetto a quanto avevo già assunto.
Volevo godermi la vanagloria di un personalissimo traguardo, ossia aver raggiunto lo stato più elevato di beatitudine per una free lance: essere perfettamente in anticipo sulle scadenze a distanza di 4 anni dal taglio del cordone ombelicale della sudditanza impiegatizia. Brividi che neppure il surfista più audace proverà cavalcando l’onda della vita.
Ecco, a pensarci bene forse persino un amore estivo ha più chance di successo rispetto a certe promesse che i liberi professionisti, talvolta, in preda all’effetto morfina del “tutto sotto controllo” amano fare a se stessi mossi da uno spregiudicato coraggio.
E così questa promessa si è schiantata sul muro del “no non ce la faccio a dire di no” a pochi giorni dalla sua genesi.
È bastato però un messaggio di Lui per farmi vacillare: “Valuta se un viaggio da sola è davvero ciò che ti serve ora.“.
Stop, finito, il muro della certezza com’era stato costruito era anche crollato sotto il peso di una pulce all’orecchio e due creative richieste di lavoro nella inbox.
Il luglio spensierato che doveva ancora iniziare era già rovente come un mezzogiorno di fuoco.
Nessun programma itinerante aveva più ragione di sopravvivere, esisteva solo il sacrosantissimo “to do” quotidiano fatto di scatti, editing, cucina, tavoli da montare e smontare, sedie da salire, luci da controllare e zanzare da cui proteggersi.
Al 12 del mese potevo tranquillamente affermare che i giochi erano fatti: luglio avrei potuto archiviarlo come il solito tran-tran.
Poi, un giorno di intenso stordimento pomeridiano, appoggio la Reflex e mi accascio sul bancone della cucina. Chiudo gli occhi per pochi secondi e quando li riapro lo sguardo si sofferma su alcuni pezzi di cocco, avanzo di una ricetta appena completata.
Un deja-vù e il pensiero vola a Lei, perché il cocco inevitabilmente mi gioca questo scherzo: riporta la mia mente a quella videoricetta girata insieme in un caldo pomeriggio di luglio nella sua casa a Valdarno, quando indossavamo collane hawaiane immaginando di volare via lontano, prima o poi, non più solo sulle ali della fantasia.
Le scrivo o non le scrivo? Mi risponderà? Proverà ancora delusione nei miei confronti?
Sentivo le narici inumidirsi e gli occhi pizzicare. Che inutile fatica aggiungere paranoie al bagaglio già carico che da mesi portavo sulle spalle. Poi, sulla scia dell’entusiasmo dato da due sedute di yoga, mi sono detta: “vai, fallo, segui il cuore e l’istinto.”.
Una tra le più belle vacanze della mia vita, quella in Cilento, è nata proprio così, in un pomeriggio in cui ho digitato parole sulla tastiera perché sentivo il forte bisogno di averla vicino, ma non sapevo se dall’altra parte Lei avrebbe capito cosa cercassi e soprattutto perché lo facessi.
Eppure sono bastate due battute in mezzo a tre anni di silenzio per farci ritrovare.
“Sarà una vacanza di pensieri leggeri, pesantezza solo a tavola” mi aveva promesso.
Ho riso ricordando il suo singolare sarcasmo e pensando come trovare le parole per dirle che neppure a tavola la pesantezza la sopportavo più.
Così sono partita senza sapere quasi nulla di cosa mi aspettava, affidandomi al suo buon gusto, mossa solo dal desiderio di tuffarmi in un viaggio senza regole, privo di schemi, giudizi e rigidità, imprevedibile, esattamente come Lei.
L’ultima settimana di luglio, inaspettata e completamente non programmata, si è rivelato un tempo di risate fino alle lacrime, di lunghi bagni in cui annegare confessioni che spaccano in due, di cuori disegnati con la biro sulle ginocchia, di silenzi complici consumati divorando frutta fresca di giorno, mozzarelle e tramonti la sera.
Una vera amica è una fortuna che per tanto tempo non mi sono meritata, ma forse è vero che il bene autentico non si cancella.
E quindi onore e a chi smette di programmare la sua vita come una lavatrice perché la felicità che reca l’imprevedibilità è un viaggio che, almeno ogni tanto, andrebbe intrapreso.
Tartellette di pasta brisée con palline di formaggio aromatizzato
INGREDIENTI
Per la pasta brisée
250 g farina tipo 0 – 100% grano italiano – Grandi Molini Italiani
150 g burro
55 g acqua
6 g zucchero
1 g sale
1 tuorlo
Per farcire
450 g circa di formaggio cremoso (tipo robiola)
Semi di sesamo neri
Semi di sesamo bianchi
Granella di pistacchio
Paprika dolce o affumicata
Basilico
Rucola
Pomodorini gialli
Fettine di polenta
Sale e olio
PROCEDIMENTO
Per la base
Mescola tuorlo, acqua, zucchero e sale e riponi in frigorifero.
Versa il burro freddissimo tagliato a cubetti nella farina.
Sabbia il composto con un mixer o la planetaria, fai un buco al centro e versa i liquidi raffreddati.
Lavora quel tanto che serve perchè il composto resti unito.
Rovescia sul piano di lavoro e compatta in forma di panetto quadrato.
Copri con pellicola e lascia riposare per almeno 1 ora in frigorifero.
Una volta fredda, stendi la pasta nello spessore di circa 3/4 mm.
Ungi 6 anelli diametro 10 con dell’olio, poi appoggiali su una placca coperta di carta forno o su un tappetino microforato.
Ricava dalla pasta stesa 6 strisce larghe 3 cm circa.
Inserisci le strisce negli anelli e sigilla bene il punto di giunzione per evitare che si apra una volta cotta.
Ricava dall’impasto avanzato anche le basi e inseriscile nelle tartellette facendole aderire bene lungo i bordi.
Riponi poi tutto per 30 minuti in congelatore.
Fodera con carta forno ogni guscio, riempi con i fagioli, quindi procedi con la cottura in bianco a 195°C per 20/25 minuti.
Estrai, attendi alcuni minuti e rimuovi gli anelli.
Spennella le basi con 1 uovo medio sbattuto con 10 g di latte e rimettile in forno per 10 minuti a 165°C circa affinché si dorino.
Lascia raffreddare.
Per la farcitura
Lavora il formaggio cremoso e versalo nella tasca da pasticcere.
Distribuisci in 4 ciotole i semi di sesamo bianchi e neri, la granella e la paprika.
Dosa una noce di crema in ciascuna ciotolina sopra le varie spezie e i semi e ruota bene le palline con le mani affinché si coprano completamente.
Procedi così fino a realizzare 4 palline di gusti diversi per ogni base (per un totale di 36 palline).
Taglia i pomodorini a pezzettini piccoli, condiscili con basilico, sale e olio.
Abbrustolisci le fettine di polenta (al forno o sulla padella unta d’olio) e tagliale a dadini piccoli.
Alla base di ogni tartelletta disponi qualche foglia di rucola, adagia un cucchiaio di pomodorini e farcisci con le 4 palline.
Riempi gli spazi con alcuni cubetti di polenta e servi subito.
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