Essere scelti per ciò che rappresentiamo e quello in cui crediamo, al fine di raccontare altri mondi in qualche modo affini al nostro: non trovate sia un’impagabile forma di gratificazione personale, oltre qualsiasi forma di ricompensa materiale?
Non conoscerò mai le vostre risposte e forse questa domanda sarà per voi solo uno spunto interrogativo cui dedicare una riflessione: ciò che invece per me rappresenta la più grande conquista in questo nuovo percorso da free lance.
Verso la metà dello scorso novembre ricevo un’email: la più grande realtà di vini del Piemonte desiderava affidare alla mia penna il racconto di nobili vini espressione di generazioni consumate a misurarsi con una terra dall’animo indomito: le Langhe, quel tratto di dolci colline piemontesi, da qualche anno Patrimonio dell’Umanità, che si estende fra Cuneo ed Asti.
Sul finire dell’inverno, e fino al debutto di questa indelicata estate 2019, ho stappato i vini di Duchessa Lia nella mia cucina, lasciando lavorare mente e mani, al fine di riproporli come perfetti abbinamenti di ricette divenute poi oggetto di racconti tra le pagine di questo blog.
Ad estate non ancora terminata è giunto poi settembre e, con esso, il momento più atteso, quello in cui sono stata invitata a lasciare la cucina in favore di un viaggio non più solo mentale, ma reale, fatto di persone, momenti di scoperta e convivialità.
Sono salita sul treno con una valigia snella – e per fortuna, mi sono detta – trovandomi a soppesare di frequente, nel tragitto verso Asti, la portata dell’ansia di un animo particolarmente in affanno.
Serve a poco l’invito di mia madre “Stai tranquilla, Lucia”, lanciato al vento dinnanzi ai binari della stazione dopo un bacio veloce.
Non ho mai fatto mistero della mia considerevole ansia da prestazione in qualsiasi frangente, la stessa che sembra alimentarsi quotidianamente del timore di fallire, ma, nel caso specifico, di fronte ad un evento che i più considererebbero un viaggio di piacere, avvertivo che la richiesta di raccontare la nobiltà al giorno d’oggi, senza scadere facilmente nel semplice esercizio dello snobismo, non era affatto cosa semplice. O meglio, non è semplice come degustare un calice di Blanc de Blancs Duchessa Lia dal salotto all’aperto di una dimora storica di fine ‘800 che offre una vista sconfinata sui vitigni, Villa Fontana.
È proprio lì che ha preso vita, in un caldo pomeriggio dai colori vividi, l’incontro a lungo immaginato con le compagne di questo intenso viaggio: Adua, Francesca, Sara, Flora e Manuela.
Occhi curiosi al cospetto di un mondo fatto di storia, anche familiare, letteratura e arte.
Alla nostra tavola, nella luce di un tramonto dai toni romantici, la figlia del fondatore delle Cantine Capetta, Gabriella, e la nipote Sara, rappresentanti per l’occasione di questa azienda a conduzione familiare.
Ci accolgono come figlie di una nuova generazione in un mondo che ha radici in tempi lontani, quelli del dopoguerra, quando il fondatore scelse di dedicarsi completamente a quelle aspre e faticose terre, anticamente coperte dal mare, i cui terreni così ricchi di argilla e calcare favorivano la presenza di promettenti biodiversità.
A cena Gabriella prende la parola e ci ringrazia: la voce è a tratti gioiosa, ma si fa sempre più tenera e delicatamente commossa al ricordo del padre Francesco, un uomo tenace, classe 1924, protagonista attivo e senza riserve appartenente alla stessa popolazione contadina, umile e instancabile, così ben raccontata ne “La malora” negli scritti di Beppe Fenoglio, illustre portavoce di queste terre insieme a Cesare Pavese.
Grazie alla profonda conoscenza delle potenzialità del territorio, ad un precoce spirito imprenditoriale e ad una sana passione di cui qualsiasi grande impresa non può non alimentarsi, a metà degli anni ’50 converte quei terreni in luoghi fertili da cui estrarre solo eccellenza. Lui sceglie di battezzarli i “nobili vini del Piemonte”.
Francesco Capetta resterà una calda presenza nell’aria, evocata più volte nel corso della nostra permanenza da Gabriella, che occasionalmente spezzerà i suoi discorsi ricordando con divertita simpatia qualche aneddoto sul padre, con il quale condivideva la stessa disarmante incapacità di ricordare i nomi.
“Ci aiutavamo a vicenda però: dove non arrivava l’uno, c’era l’altra.”.
Comprendo che i legami sono forti in questa preziosa e prestigiosa lingua di terra, sono la matrice su cui si basa la forza che ha reso questa realtà forte e presente su tutto il territorio italiano e anche oltre confine. Una famiglia allargata che include oltre 170 viticoltori locali e i frutti delle loro vigne, che non ha mai sfavorito l’approvvigionamento interno in favore di uve di altra provenienza.
Percepisco i valori di questo sodalizio passeggiando tra i filari brillanti delle vigne di Moscato, a Santo Stefano Belbo, dove uomini più e meno giovani si rendono essenziali collaboratori di una vendemmia organizzata e ben condotta.
Lo respiro camminando tra le alte pareti della cantina Capetta, dove i grappoli appena raccolti vengono attentamente processati sotto l’occhio esperto dell’enologo Paolo Bussi, che con particolare gentilezza rende evidente quanto sia profonda e strutturata la loro conoscenza del vitigno aromatico del territorio, dei suoi profumi di pesca, glicine e fiori bianchi.
Innanzi al carico di grappoli che tumultuosamente confluiscono nella pressa, vengo colta da un inverosimile profumo di Natale: ci sono 30 gradi eppure provo la stessa gioia che mi percorre la schiena quando affondo la mano nella trama soffice del panettone.
Ma il calore inaspettato di questo giorno di fine estate si rivela un valido alleato per godere all’aperto del raffinato aperitivo in compagnia del resto della famiglia Capetta.
Beatamente seduta sul muretto, cercando un po’ di quella pausa di solitudine che sento necessaria quanto una boccata d’ossigeno, lascio che il palato si diverta a scoprire i sapori tipici di questa terra, magistralmente composti in piccole forme d’arte e colore dalle abili mani della Signora Mariuccia, anima femminile del rinomato ristorante San Marco, una stella Michelin che brilla da più di 60 anni.
E se chiudo per un momento gli occhi, mi rivedo compiaciuta e soddisfatta con un calice di Barbaresco Duchessa Lia in una mano e nell’altra un pezzo di quella formaggetta locale (come veniva definita decenni fa) in grado di mettere in ombra anche illustri formaggi francesi: la Robiola di Roccaverano.
Con il vento tra i capelli e il palato in festa è quasi infantile il divertimento che provo nel raggiungere il Ristorante San Marco a Canelli a bordo del maggiolone d’epoca cabriolet.
Penso addirittura che con le mie compagne di viaggio Adua e Flora quei km li allungherei di un bel po’: mi sembra di conoscerle da una vita, o forse sono solo i bicchieri di vino che iniziano a farsi sentire.
In barba ai sensi di colpa (la fortuna vuole che qualcuno ci scarrozzerà per tutta la giornata sollevandoci da questi pensieri), ci ritroviamo ad alzare nuovamente i calici come eroici moschettieri intorno ad una tavola rotonda. La forchetta passa senza indugi da un finissimo tortello di melanzane e ricotta ad un cubetto di succulenta pancetta di maialino, finendo per lasciare l’ultimo atto ad una crème brûlée di rara bontà e cremosità: quelle in cui i semini della bacca di vaniglia sono tanti, ben distribuiti, eccezionalmente profumati.
Prima di allontanarmi, per ultima, dalla tavola, raccolgo un seducente tronchetto di torrone morbido ai pistacchi, perché sì, è davvero caldo-caldo, ma per la mia gola non ha mai fatto una gran differenza.
Sono emozionata, forse in controtendenza rispetto al mood che sembra aleggiare tra le colleghe: ci stiamo dirigendo verso la Scuola Internazionale di Cucina Italiana di Costigliole d’Asti per esibire tutte le nostre capacità davanti ai fornelli e io, in fondo, sono l’unica food blogger.
Ma la realtà ci vede uscire invece tutte appagate e divertite, qualche ora dopo, con 6 attestati di partecipazione, altrettante torte di nocciole e la consapevolezza che lo zabaione non è poi un mostro così sacro e inviolabile.
Torniamo fra le mura accoglienti del nostro Relais, che ci permette di godere dell’ultimo incandescente tramonto sulle vigne, a brindare con quell’ultimo calice di piacevole Brachetto D’Acqui Duchessa Lia ad una trasferta in cui la bellezza è stata il sottile filo conduttore.
L’indomani ci salutiamo, abbracciandoci con reale dispiacere.
C’è chi a breve partirà per il giro del mondo, chi per il paese dove le nuvole corrono veloci, chi approderà sulla passerella più famosa dell’anno e poi chi, con la torta di nocciole in una mano e il trolley nell’altra, tornerà a casa.
Lì passerà diversi giorni ad osservare i colori di quelle nobili terre, scorrendo fotografie tra le pareti dello studio.
Ed infine alla cucina ritorno, come un cerchio che si chiude perfettamente.
Un tantino troppo elettrizzata, a lievi tratti anche un po’ malinconica, come tutte le grandi esperienze che aggiungono mattoncini al tuo sapere e concorrono a creare una Te più forte e consapevole.
Chiudo la parentesi piemontese condividendo la ricetta della Torta alle nocciole e zabaione caldo, realizzata sotto lo sguardo vigile e il piglio divertente dello chef Massimiliano Careri.
La torta di nocciole ha una piccola e aromatica presenza di caffè ed è davvero perfetta se servita con qualche cucchiaio di zabaione caldo al Moscato d’Asti Duchessa Lia.
E se siete ancora dubbiosi circa la vostra capacità di gestire uno zabaione senza un tutor, scorrete un po’ più in basso.
Troverete la ricetta dello zabaione facile-facile (a firma Montersino), con quel nonnulla di amido che sarà garanzia di successo!
Torta di Nocciole e zabaione caldo al Moscato d’Asti Duchessa Lia
INGREDIENTI e PROCEDIMENTO
per la torta alle nocciole
Ricetta per 4 persone
200 g zucchero semolato
200 g burro morbido
Mezza tazzina di caffè espresso
200 g di nocciole (meglio la varietà Tonda Gentile Trilobata IGP)
120 g uova intere (circa 2 grandi) a temperatura ambiente
8 g di lievito
200 g farina 00
A mano, o in planetaria, sbatti il burro con lo zucchero fino a rendere la massa spumosa.
Aggiungi il caffè un po’ alla volta e, a seguire, le nocciole ridotte in farina.
Sempre continuando a montare, incorpora al composto le uova leggermente rotte con una forchetta: non tutte in una volta.
Attendi che quel tanto che hai versato venga ben incorporato prima di aggiungerne dell’altro.
Setaccia farina e lievito e aggiungili, per finire, al composto.
Mescola poco, giusto il necessario per avere un composto omogeneo.
Fodera una teglia da crostata con carta forno e versa il composto.
Livella con il dorso del cucchiaio e inforna a 180°C per circa 25 minuti (fai la prova con lo stecchino).
INGREDIENTI e PROCEDIMENTO
per lo zabaione
(da preparare poco prima di servire la torta)
80 g tuorli d’uovo
40 g zucchero
300 g Moscato d’Asti Duchessa Lia
- Riempi una pentola per ¾ con dell’acqua e ponila sul fuoco a scaldare.
- Prendi una bastardella, adatta al bagnomaria, e monta al suo interno i tuorli con lo zucchero usando le fruste a mano o elettriche.
Quando saranno belli gonfi, chiari e spumosi aggiungi il moscato. - Appoggia la bastardella sulla pentola d’acqua calda e continua a montare il composto con le fruste, cercando di incorporare molta aria. Fai un continuo movimento di polso dal basso verso l’alto)
- Quando lo zabaione risulterà gonfio e spumoso, toglilo dal fuoco.
- Servi la torta alle nocciole accompagnando ogni fetta con due cucchiai di zabaione caldo al Moscato d’Asti Duchessa Lia.
-> A piacere decora la sommità con nocciole tostate passate velocemente nel caramello e fili di caramello.
INGREDIENTI per lo zabaione
(nella versione semplice di Luca Montersino)
4 tuorli freschissimi
80 gr zucchero
115 g Moscato d’Asti Duchessa Lia (la ricetta originale prevedeva il Marsala)
12 g amido di mais
- Monta i tuorli insieme allo zucchero. Incorpora l’amido e continua a montare.
- Nel frattempo porta ad ebollizione (io una casseruola in rame, perfetta per queste preparazioni) il Moscato. Appena si saranno formate le prime bolle riduci il fuoco e versa la montata di uova.
Non mescolare ma attendi qualche secondo. - Non appena vedrai il Moscato risalire in superficie e lungo i bordi della casseruola, mescola vigorosamente con una frusta per circa 30 secondi. Togli dal fuoco e servi subito.
-> Qualora desiderassi prepararlo in anticipo, rovescia lo zabaione in una ciotola raffreddata e copri con pellicola adatta a contatto.
Conserva in frigorifero.
->Volendo realizzare una chantilly allo zabaione, procedi nel seguente modo: rovescia lo zabaione ben freddo in una ciotola, aggiungi pari peso di panna da montare anch’essa ben fredda, quindi monta il tutto con le fruste.
Nessun commento