Le penne alla vodka, il risotto fragole e champagne, i tortellini panna e prosciutto, il pollo in gelatina, il gelato al puffo, la crêpe Suzette: accidenti se sono stati tosti da digerire i gloriosi anni ’80.
C’è chi sostiene che il famoso “fisico bestiale” di Carboni servisse solo a questo.
A tale lista di piatti che seducevano una popolazione composta per lo più da donne che si gonfiavano il ciuffo con Cieloaltocieloblu e vestivano body in lycra, scaldamuscoli e fuseaux stile Irene Cara, e uomini che si cingevano la fronte con sgargianti fascette da Rambo e si infilavano calzini bianchi pensando di improvvisare un moonwalk, aggiungerei le mie – personalissime – stravaganze in fatto di moda – certo – ma soprattutto di cucina.
Le Timberland, la tuta in acetato e il cerchietto in testa: il tutto, drammaticamente, insieme. Non c’erano santi che potessero convincermi che tante cose potevo sembrare, meno che caruccia agghindata in codesta maniera. Mi svestivo volentieri solo in palestra per impugnare un nastro in raso rosa lungo 5 metri che muovevo con la fluidità di un battipanni sulle note calienti di La Isla Bonita.
Ma poi tornavo a casa e, da ginnasta di scarsissimo talento, mi trasformavo in una forchetta di prim’ordine. Per una pasta al burro e Bovis (mamma, tranquilla, non dico a nessuno che me la preparavi tu) avrei ceduto la mia collezione di ciucci in plastica colorata e la quotidiana mezz’ora serale al cospetto de l'”uomo Tigre” che lotta contro il male.
Ed è proprio su questo cibo-icona anni ’80, poi sparito dalla circolazione con la velocità di un Bolt, che ho ragionato proprio qualche giorno fa, rovistando tra gli scaffali del supermercato in una ricerca affannata di un prodotto che evidentemente qualcuno ha fatto sparire mentre io ero impegnata, fortunatamente, a “rifarmi la bocca”.
Mi è rimasto pertanto il dubbio che quel pastone nero (alias estratto di carne), colloso e salato nel suo incoerente barattolo bianco e fiori blu, forse oggi è addirittura fuorilegge. Devo dire però che non sono altrettanto convinta che lo sia anche in Francia, dove capsule di fondi bruni ed estratti in Brik sono popolari sugli scaffali dei supermercati non meno di foie gras ed escargot.
E, a proposito di francesi, ammetto che mi sembra fin troppo godereccio notare che questa eccentrica decade del passato, imbarazzante in fatto di moda e discutibile per i suoi virtuosismi culinari, è stato un periodo delicatamente confuso anche per i cugini d’oltralpe, da pochi anni edotti circa i sacri comandamenti della Nouvelle Cuisine:
- “Non cuocerai troppo.”
- “Utilizzerai prodotti freschi e di qualità.”
- “Alleggerirai il tuo menù.”
- “Non sarai sistematicamente modernista.”
- “Ricercherai tuttavia il contributo di nuove tecniche.”
- “Eviterai marinate, frollature, fermentazioni, ecc.”
- “Eliminerai le salse e i sughi ricchi.”
- “Non ignorerai la dietetica.”
- “Non truccherai la presentazione dei tuoi piatti.”
- “Sarai inventivo.”
Sfoglio il ricettario francese “più distribuito tra i libri di cucina” negli anni ’80 ed intitolato Tante Marie (per noi italiani Zia Maria), scovato qualche anno fa in un deposito di cimeli letterari in Borgogna, e la sensazione di orrore innanzi alle presentazioni dei piatti si fa potente (la parola “impiattamento”, entrata nel dizionario per sfinimento, non riesco proprio ad utilizzarla*); orrore che mi fa strabuzzare gli occhi quando capito a pagina 200, alla sezione “lepre selvatica”.
Comprendo che essere carnivori comporti consapevolezza circa ciò che viene fatto all’animale, ma non mi sarei mai aspettata di trovare in un ricettario la foto di una lepre appena cacciata adagiata su una tovaglia a fiorellini rossi con un contorno di foliage autunnale, funghi porcini da pulire e – rullo di tamburi – manciate di bossoli di fucile.
Ma un comandamento sul food styling pareva brutto?
Dai, su, non solo è cattivo gusto, ma pure un fatto di igiene, Zia Maria: fermiamoci alla baguette sotto l’ascella, per carità.
Scorro il dito più velocemente e cerco conforto nella sezione pâtisserie, ma a quel punto il disagio cede il passo alla disperazione: le Madeleine con una lieve gobba e mal staccate dallo stampo fanno, non solo un torto a Proust, ma pure a Dario Argento.
Accidenti, siamo onesti: il food porn, in quegli anni, era oscuro a quelli del settore non meno del segreto di Fatima.
Che periodaccio. Non fosse stato per la musica, come cantava Raf, cosa rester(-ebbe) di questi anni ’80?
Chi la scatterà la fotografia?
D’accordo, provo per l’occasione a scattare la mia.
Mollo il dimenticabile tomo e scendo in magazzino per aprire il trolley di ricordi: è grande, rigido ed ha la bandiera dell’Inghilterra stampata sul guscio. Una tamarrata in perfetto stile anni ’80. Io li ho ficcati tutti lì, senz’ordine, in preda al delirio da accumulatrice durante il trasloco della vita. Lettere, fotografie, oggetti e – neppure troppo piccoli – souvenir.
Et voilà, nel gesto che solleva una polvere che metà basta, ma pure un soffio di magia, riconosco una Lucia che osava molto di più che ballare ingenuamente sulle note hot di Madonna in un body che fa il paio con le ballerine sberluccianti del post precedente.
Ritrovo le immagini di me settenne allo stadio di Cortina con addosso i bianchi pattini da ghiaccio a cui più e più volte ho giurato un amore più eterno di quello per Tom Cruise, le lettere della penpal, una bimba del Canada a cui confidavo tutti i miei pensieri ma di cui non conoscevo neppure il volto, la musicassetta “L’Italiano” di Toto Cutugno che era il mio sottofondo musicale per i momenti struggenti (che poi, a 8 anni, ma che bisogno c’era di struggersi?) e il diario segreto con la copertina bombata, raffinatissimo nella sua finitura bianco perla pur con quel pesantissimo, ma necessario, lucchettone anti-intrusione. D’accordo: ora sono certa che quanto è scritto dentro non lo leggerà più nessuno e neppure io, visto che delle chiavi, nella valigia, non c’è traccia.
Ritrovo un religiosissimo ciondolo Tau souvenir di un viaggio in Umbria, un carillon meccanico da tavolo, un mezzo cuore di metallo la cui metà non ricordo in mano di chi l’avessi messa ed istantanee in cui vestivo calzerotti in lana rosa e quel benedetto cerchietto maculato. Madre mia, oggi girerei nuda, piuttosto.
Non mi capacito però di una cosa: non ci sono tracce di cibo, nemmeno la sbiadita cartina di un bacio Perugina. Eppure ho memoria di colazioni a base di Campiello e Bucaneve e pomeriggi estivi scanditi da Twister, Morositas e Cuccioloni, così come di grandi scampagnate familiari sui prati delle Dolomiti in cui papà si caricava di borse frigo zeppe di costine di maiale da cuocere sulle braci a bordo torrente, in compagnia di amici e mandrie di mucche al pascolo. Paleolitico, altro che anni ’80: ora, per una cosa del genere, se ti va bene finisci in galera.
Eppure – eppure, a ben vedere c’è un solo piatto che, ancora oggi, riesce a catapultarmi in quel mondo più velocemente di una borsa Naj-Oleari o di una felpa Best Company.
La definirei una tra le più sublimi cafonate del periodo: i gamberetti in salsa cocktail, quelli che vedevo schiacciati tra le due sottili fette di pane da tramezzino nel bar-pasticceria tappezzato di specchi in cui mia madre mi portava ogni sabato mattina. Gli stessi che ritrovavo tra gli antipasti di qualsiasi pizzeria o ristorante, spesso anticipati da una parola che mi ha sempre fatto crepare dalle risate: TRIONFO. E per quanto queste premesse potessero far pensare a coppe rosa offerte da un Ambrogio in guanti bianchi, la verità era che il trionfo di gamberetti in salsa rosa arrivava orizzontale, su un letto di insalata.
E quindi, in un revival senza malinconie, senza insalata e senza smanie di trionfo, ma con la gioia di una frontwoman di un gruppo evergreen, oggi la mia idea dei divertenti anni ’80, ve la racconto così.
*Cito: “Odio il termine ‘impiattare’, lo trovo sgradevole e sgrammaticato, frutto dell’imperversare dei cuochi televisivi”, “il verbo ‘impiattare’ non esiste in italiano! È talmente brutto che fa cadere le braccia”. Il giornalista Davide Guadagni inserisce la parola “impiattare” nel suo “Dizionario dell’antilingua” definendola così: ‘Disposizione coreografica del cibo nel piatto. Spesso superflua come chi la fa’.
Geniale.
NOTE
Questa ricetta è tratta dal libro “Les tartes de Jean-François Piège pour tous“.
Il grande pasticcere e chef francese Piège racconta questa rivisitazione di un classico anni ’80 senza però fornire dettagli in merito al tipo di salsa cocktail utilizzata, al Guacamole e alla tecnica di finitura della tarte, particolarmente sfidante per via della precisione con cui devono essere disposte le fettine di avocado.
Precisa, inoltre, di utilizzare 12 gamberetti che, oggettivamente, sembrano assai pochi per farcire degnamente questa tarte.
Quindi ho scelto di utilizzare le ricette che sento più “giuste”: una salsa cocktail dal sapore molto francese e un guacamole dal sapore “molto autentico” (almeno così sostiene chi lo ha assaggiato in terra messicana).
Per la base ho utilizzato la farina tipo 0 di Grandi Molini Italiani appartenente alla linea ORIGINI, una linea di prodotti che coniuga la più antica tradizione molitoria con l’innovazione e che è la sintesi del modo antico di intendere il lavoro: quello fatto di attenzione per i dettagli. Grazie al processo di decorticazione a pietra, ogni chicco è migliore in termini qualitativi.
TORTA SALATA CON GAMBERETTI IN SALSA COCKTAIL E AVOCADO
INGREDIENTI
Per la pasta brisée
150 g farina
50 g fecola di patate
80 g burro freddo a cubetti
4 g sale
30 g di uovo intero (ricavati da uno rotto e sbattuto)
30 g d’acqua fredda
Per i gamberetti in salsa cocktail
150 g circa di gamberetti cotti a vapore
100 g di maionese
3 cucchiai di ketchup
1 cucchiaino da caffè di concentrato di pomodoro
1 cucchiaino da caffè di salsa Worcestershire
1 cucchiaio di Whisky o Cognac
3 gocce di Tabasco
1 g di sale
alcune macinate di pepe nero
Per il guacamole
2 avocado Hass maturi
1/2 cipolla
8/10 pomodorini
un piccolo pezzetto di peperoncino verde (a piacere)
olio d’oliva
1o 2 lime non trattati (scorza e succo)
sale e pepe nero
Per la decorazione
2 avocado Hass non troppo maturi
succo di limone
fiori di erba cipollina (a piacere)
restante uovo per spennellare
PROCEDIMENTO
Preparazione dell’impasto della brisée
Per realizzare la Torta salata con gamberetti in salsa cocktail e avocado, comincia preparando il guscio: puoi fare l’impasto a mano o con la planetaria. Se desideri farlo a mano, setacciafarina e fecola in una ciotola larga.
Aggiungi il sale e miscela il tutto.
Aggiungi i cubetti di burro freddi e appiattiscili con le mani in mezzo alla farina evitando di scaldare troppo il tutto. Sfrega i pezzi di burro e farina tra le mani fino ad ottenere un composto sabbioso.
Fai un buco al centro e aggiungi i 30 g di uovo (conserva il resto dell’uovo) e l’acqua.
Con le dita lavora il tutto fino ad ottenere una pasta omogenea al tatto. Dai all’impasto la forma di una palla, inseriscilo in un sacchetto e appiattiscilo con il matterello nello spessore di circa 1 cm.
Lascialo riposare al freddo per almeno 2 ore.
Preparazione dei gamberetti in salsa cocktail
Versa i gamberetti lessati e ben asciugati in una ciotola.
In un’altra ciotola mescola tutti gli altri ingredienti.
Versa 3 cucchiai abbondanti di salsa rosa nei gamberetti e mescola bene.
Tieni in frigorifero il tutto coperto da pellicola.
Preparazione del guacamole
Taglia gli avocado a metà, rimuovi i noccioli (se vuoi un supporto visivo su come procedere guarda QUI), poi estrai la polpa e versala in una ciotola capiente.
Schiacciala bene con una forchetta fino a ridurla in una purea grossolana.
Taglia i pomodorini in piccoli pezzetti, rimuovi l’acqua di vegetazione e i semi e aggiungili all’avocado.
Dividi il pezzo di cipolla in due nel senso della lunghezza, quindi tagliala a fettine sottili.
Aggiungi la cipolla tagliata, il succo e la scorza di un lime, regola di sale, pepe e aggiungi un filo d’olio.
Mescola bene il tutto e regola l’acidità aggiungendo eventualmente altro succo di lime.
Per la ricetta non ti servirà tutto: conserva il resto in frigorifero coperto da pellicola e consumalo entro un paio di giorni.
Stesura dell’impasto
Stendi l’impasto raffreddato (utile a questo proposito un matterello con spessori) su una superficie leggermente spolverizzata di farina in uno spessore di circa 4 mm. Ricava un disco di brisée diametro 25 cm incidendola con un coltello.
Imburra un anello diametro 18 cm e alto 2 cm (tipo questo) e appoggialo su una griglia da forno coperta con un silpat oppure su un foglio di carta forno appoggiato ad una teglia.
Inserisci il disco di brisée delicatamente e fallo aderire bene alle pareti e lungo la base. Rimuovi l’eccesso d’impasto con un coltellino affilato.
Lascia riposare in frigorifero o in congelatore coperto da pellicola per una mezz’ora.
Cottura della base
Porta il forno a 160° C modalità statica.
Bagna un foglio di carta forno, strizzalo bene e asciugalo, quindi fodera l’impasto e versaci dentro dei fagioli o del riso per effettuare la cottura in bianco.
Inforna per circa 30 minuti quindi rimuovi con delicatezza carta forno e fagioli e termina la cottura fino a doratura (la base tenderà a staccarsi dall’anello): ci vorranno circa altri 20 minuti.
Quando è pronta estraila, spennellala, internamente ed esternamente, con il resto dell’uovo sbattuto a cui avrai aggiunto un po’ di latte e infornala per qualche altro minuto fino ad ottenere un bel colore dorato.
Composizione della torta salata
Una volta fredda farcisci la base con uno strato di guacamole.
Livella bene quindi disponi sul guacamole i gamberetti in salsa rosa (aggiungi la salsa negli spazi lasciati tra i gamberetti).
Copri lo strato di gamberetti con altro guacamole e livella bene il tutto fino ai bordi aiutandoti con una spatolina a gomito.
Decorazione con fette di avocado
Per completare la Torta salata con gamberetti in salsa cocktail e avocado, comincia tagliando l’avocado in due.
Togli il nocciolo con l’aiuto di un coltello quindi, con delicatezza, rimuovi la polpa intera con un cucchiaio senza rovinarla.
Affettala sottilmente con una mandolina partendo dalla testa, non dalla pancia.
Disponi le fettine su un foglio di pellicola appoggiato sul piano di lavoro bagnato d’acqua (così non si muoverà).
Spruzza del limone sulla pellicola quindi comincia a disporre le fettine, una sull’altra in più file, fino a completare uno spazio che corrisponda a quella dell’anello utilizzato per la cottura.
Spruzza del limone sulle fettine, di tanto in tanto. Appoggia sopra le fettine l’anello usato per la cottura e rifila l’eccesso di avocado con un coltellino.
Appoggia sopra le fette di avocado un foglio di pellicola, pigia bene con le mani affinché il disco resti fermo, quindi solleva con delicatezza il disco di fette di avocado e appoggiane la “faccia a vista” sul palmo della mano destra.
Rimuovi la pellicola retrostante e appoggia il disco di avocado sopra la tarte.
Spruzza con dell’altro limone, irrora con olio d’oliva, zeste di lime, sale in fiocchi e a piacere fiori di erba cipollina o erba cipollina.
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