Le cassatelle palermitane alla ricotta e gocce di cioccolato resteranno il segnalibro di questa mia storia estiva, una frazione d’anno che porta il nome di “vacanze a Terrasini“. Sono atterrata poco lontano da questo piccolo e geometrico paesotto della provincia di Palermo nel mezzo di un’estate insopportabilmente calda. Un breve tratto autostradale, piuttosto libero e panoramico, conduce alla Contrada Paternella: la pendenza si fa sempre più accentuata quando si arriva ai piedi del Golfo di Castellammare.
Una dimora bianca e sileziosa si colloca nel centro di questa contrada che si estende sul versante est di una lunga insenatura che parte dalla Riserva di Capo Rama e termina a Capo San Vito. Ci sono entrata quasi in punta di piedi, sopraffatta dal fascino di una bellezza dai canoni classicamente mediterranei. Nel giardino, tra archi di bouganville rosa intenso e raffinati cespugli di Plumbago, oltre l’azzurro caraibico della piscina, i miei occhi potevano intravedere l’immenso specchio blu del Golfo di Castellammare.
Ma il mare l’ho trovato dentro.
Ogni porta, finestra o angolo della casa riconsegnava un’immagine densa di quel blu profondo.
Ho consumato le mie giornate in contemplazione di un paesaggio che appartiene al mondo della fantasia durante tutti gli altri mesi dell’anno.
Appoggiata allo stipite di una porta, seduta al tavolo della cucina, immersa nell’azzurro della piscina a sfioro oppure distesa sul letto bianco, ho sfamato l’anima di orizzonti puliti e luminosi i cui colori non erano mai gli stessi: calassero tramonti o sorgessero albe.
Ma tutta l’acqua che ho desiderato invano scendesse a rinfrescare la mia calda Treviso nei mesi precedenti, mi aspettava qui, in una terra solitamente privilegiata per trascorrere vacanze al riparo dal maltempo. Pescatori e abitanti di Terrasini non avevano memoria di temporali estivi: “è il mondo che cambia”, ha azzardato qualcuno.
Per diversi pomeriggi e fino a tarda notte, cieli neri carichi di elettricità hanno scagliato in mare fulmini argentei e rumorosi, lasciandoci stupiti e al contempo rassegnati di non poter godere appieno di quello che ci circondava.
Fosse stato tempo fa, avrei sicuramente lasciato andare qualche sbuffo di troppo.
Questa volta invece non mi è stato difficile trovare conforto nella cucina, facendo incetta nei mercati rionali delle ricche e colorate materie prime che solo quest’isola regala.
D’altra parte questa é la ragione principale per cui torno, quasi una volta l’anno, in Sicilia.
Nel girovagare per questa terra, la scelta della costa nord ad un certo momento è diventata quasi doverosa, dopo aver visitato in lungo e in largo le restanti tre per parecchie estati consecutive. Bene o male, avevo letto e sentito raccontare della multietnica Palermo, dei suoi mercati storici “Vucciria” e “Ballarò” e del suo cibo di strada.
Farmene una ragione e capire se collocarla tra le tappe solo di passaggio o del cuore, era un fatto che dovevo appurare. E così, sotto un cielo capriccioso, nelle prime ore di una mattina d’agosto, ho dato sfogo ad un girovagare lento e attento: agli odori, ai palazzi, ai volti, alle voci.
Mi sono trattenuta ad osservare l’eleganza delle donne siciliane innanzi alla porta della Chiesa di Matteo, durante una funzione religiosa.
Mi ha incuriosito vedere la moltitudine di razze diverse popolare strade e bancherelle dei mercati. Ho lasciato cadere il fastidio per la sporcizia che intrappola le vie e gli angusti anfratti che fungono da dispense di locali o esercizi commerciali. Ho osservato un venditore di pesce inzuppare una spugna in un secchio colmo d’acqua torbida, per poi strizzarla e passarla su un piatto da portata.
Lo stesso, l’ho visto subito dopo sbatterci un polpo lesso e tenace, fatto poi a pezzi e servito con qualche goccia di limone: “assaggia!” Non ci sono riuscita.
“Grazie… ma ho appena fatto colazione“.
Lui mi ha guardata con l’occhio torvo, quindi ha biascicato una qualche parola dialettale che mi ha fatto ingoiare il disagio nell’imbarazzo dei presenti.
Imperterrita ho proseguito sulla mia strada, con la gola pronta a valutare altri gusti. Suvvia, il polpo lesso scondito lo tengo per la dieta di settembre. Polpo archiviato, non mi sono fatta mancare nulla, con buona pace della mia coscienza, nel lungo tragitto che collega le migliori pasticcerie e rosticcerie palermitane.
Sono sgattaiolata fuori dalla Vucciria per una prima tappa alla Pasticceria Costa e lì ho indugiato a lungo, cercando spazio tra la gente, a contemplare i meravigliosi Buccellati, custoditi come preziosi gioielli in scatole di latta bianca raffiguranti allegri carretti siciliani.
Ho puntato poi alla volta di Scimone per le tanto decantate Dita d’apostolo: un insolito pasticcino sepolto dallo zucchero a velo in forma di tronchetto che ricorda una crespella farcita alla crema di ricotta. Mi ero ripromessa di rifarle una volta rientrata a casa ma, dopo aver surfato in lungo e in largo il web alla ricerca della ricetta, la sensazione è quella di sfidare Bolt sui 100 mt.
Che l’antica tradizione resti chiusa nel laboratorio degli Scimone, dunque! Rimpiango solo di non aver avuto la disponibilità di stomaco per addentare la loro arancina al basilico.
L’ultima tappa che le mie gambe (e i miei accompagnatori) mi consentivano era quella che più mi aveva caricato di aspettative: la super premiata Pasticceria Cappello in via Colonna Rotta, alle spalle del Palazzo dei Normanni, la più antica residenza reale europea.
Qui ho trovato un Gelo di melone in ottima forma che regnava sovrano in tutte le forme – mignon, tarte, pasticcino – in compagnia di una elegante e moderna varietà di torte tra cui la loro celebre torta Settestrati, la versione della famiglia Cappello dell’originale Setteveli ideata dal Maestro Biasetto.
Seduta al tavolino lato strada ho soddisfatto trasversalmente la mie voglie: cannolo, gelo di melone, tortina con crema al limone e frutti di bosco, sorbetto al limone. Vi prego, chiudete pure le bocche stupite: non escludo di essermi dimenticata qualcosa.
Ecco appunto: la cassata.
Eppure… eppure, la scintilla non c’è stata e in quel preciso momento la mia mente è volata nostalgica per le strade barocche di Noto, a ricordare il tavolino bianco del Caffè Sicilia dove il Maestro Corrado Assenza celebra quotidianamente l’arte dell’accoglienza: “L’ospitalità è uno stato dell’anima… è un sentimento che si ha nei confronti degli altri, senza deformazioni: è cultura, quindi arte.” .
Ho ripensato alla “Sicilia democratica” racchiusa dentro quelle pareti così antiche e spesse di storia, la Sicilia che accoglie tutti offrendo la stessa perfezione in qualsiasi momento del giorno. Ho ricordato la sua capacità magistrale ed educata nel rendere lieve e sopraffina una pasticceria ricca di grassi e zuccheri come quella siciliana.
Avrei voluto abbracciarlo e trovare conforto in un suo cannolo, così etereo e profumato, o in una sua cassatina, così bilanciata in consistenze e sapori. Ho ripensato alle numerose volte in cui non sono rimasta mai delusa da una sua creazione e dalle altrettante volte in cui ho cercato il suo sguardo sfuggente per accennare un complimento. Poi ho riaperto gli occhi, mi sono pulita la bocca con un ottimo caffè e mi sono rimessa in cammino, questa volta sulla strada per Terrasini.
Tornare tra le mura linde di quella che è stata “casa mia” per due settimane è stato come purificarsi. Ho indossato il mio vestito in Sangallo bianco, raccolto i capelli in forma di chignon e fatto due passi in giardino a controllare se qualche nuovo fico aveva finalmente la consistenza giusta per essere addentato.
Mi sono seduta sui gradini caldi e respirato il profumo agrumato e frizzante delle lantane che riempivano con le loro mille sfumature le fioriere a bordo piscina e ho fissato le linee eleganti e garbate del plateatico esterno. Poco altro da aggiungere: l’architetto Cascio, già famoso per la sua stupenda Villa Quadra realizzata a Saint-Paul-de-Vence nel pieno rispetto della natura, aveva fatto proprio un ottimo lavoro.
E dopo tanto vagare, scattare e pensare, mi sono decisa che era giunta l’ora di fare qualcosa.
Friggere, per esempio, in olio di arachidi profondo. Ho scelto di celebrare la bellezza del Golfo di Castellammare e la vivace Palermo replicando la ricetta delle tipiche cassatelle palermitane: gusci di pasta in forma di raviolo fritti e farciti con cremosa ricotta di pecora e gocce di cioccolato.
È stato così che ho atteso suonasse la campana dei miei 39 anni.
Bon compleannu.
STRUMENTI
Coppapasta o bicchiere da 8 cm di diametro circa
Setaccio
Spatola
Matterello
Pentola alta per friggere
Schiumarola
PROCEDIMENTO per le cassatelle palermitane alla ricotta e gocce di cioccolato
Dosi per circa 27 cassatelle
(ricetta rielaborata a partire da qui)
Per il ripieno
250 g di ricotta di pecora asciutta
65 g di zucchero semolato
Scorza di limone grattugiata
q.b. gocce di cioccolato
1 cucchiaino di cannella
Metti a sgocciolare la ricotta fino a che non avrà perso tutto il liquido.
Setacciala, aggiungi lo zucchero, la scorza del limone, la cannella e per ultime le gocce di cioccolato.
Conserva in frigorifero fino al momento dell’utilizzo.
Per l’impasto
250 g di farina 00
1 pizzico di sale
60 g di zucchero
Scorza di un limone verde (o bacca di vaniglia)
35 g di strutto
1 uovo (separate tuorlo e albume)
90/100 ml di marsala (io ho usato questo ma potete utilizzare vino bianco o zibibbo)
Per friggere
Olio di semi di arachide
Per decorare
Zucchero a velo
Per preparare le cassatelle palermitane alla ricotta e cioccolato, inizia setacciando la farina sulla spianatoia.
Aggiungi un pizzico di sale e lo zucchero in cui avrai precedentemente sfregato la scorza grattugiata del limone.
Miscela.
Fai una fossa nel centro e versaci lo strutto a cubetti e il tuorlo d’uovo.
Conserva l’albume in una tazza.
Con una forchetta inizia a schiacciare strutto e uova insieme alle polveri, poi continua ad amalgamare aiutandoti con le mani.
Gradualmente aggiungi il marsala e continua ad impastare fino a che non avrai ottenuto un impasto liscio e omogeneo.
Copri con pellicola e conserva in frigorifero per almeno 2 ore.
Per la realizzazione delle cassatelle
Stendi la pasta molto sottile, circa 2 mm, con il matterello oppure la sfogliatrice.
Coppa i dischetti, allungali leggermente con il matterello, poi versateci un cucchiaino abbondante di ripieno.
Con le dita bagnate di albume bagna il bordo del dischetto intorno al ripieno.
Chiudi la cassatella pigiando bene le dita intorno al ripieno per far uscire l’aria.
Sigilla i bordi e schiacciali con i rebbi di una forchetta.
Porta l’olio a 180° C. Friggile subito, 3 a 3, in olio profondo, per circa 1 minuto.
Scolale, lasciale leggermente intiepidire, spolverizza con zucchero a velo e servi subito.
3 Commenti
Lucia.. Lucia.. hai tenuto conto che potresti anche scrivere, oltre che
cucinare divinamente?
pensaci..
recentemente ho acquistato il libro di cui, tanto tempo fa, avevi
menzionato su IG, quello sugli abbinamenti dei sapori.. spero di avere
tempo di leggerlo prima o poi.. perché mi incuriosisce molto.
dimenticavo, le tue foto sono sempre così belle..
buona giornata
Stefania
Carissima Stefania, che dispiacere aver letto questo messaggio con un considerevole ritardo. Le tue parole scaldano e illuminano. Penso sempre che cercare di fare al meglio una cosa faccia vivere bene e… porti a consolidare una qualche strada. QUale sia questa strada ancora non lo so, ma so che mi rende felice. Ti abbraccio con il cuore.
non ti preoccupare per il ritardo.. come vedi anch’io non è che sia così tempestiva.. ma corriamo sempre.. vorrei rallentare e godermi di più tante piccole cose che mi interessano e spesso trascuro. credo che la tua strada, quella che hai imboccato recentemente, sia quella giusta.. perché ti rende felice. a presto
stefania