“E allora, mi dica un po’, cosa sta succedendo?”
“Vede dottore, è un po’ come se avessi festeggiato in 5 mesi un Natale, un Carnevale e una Pasqua e poi avessi trasformato ogni altro giorno non festivo, in un altro Natale. Insomma, stamattina ho riesumato la bilancia che fino a 2 ore fa non sapevo nemmeno dove fosse sepolta e ci sono salita per la prima volta dopo circa 1 anno. Le devo dire che mi si è aperto un mondo di numeri improbabili quanto quelli del lotto.”.
“Capisco. Sa, i pazienti veterani tendono a non pesarsi molto spesso.”
É iniziata più o meno così, l’altro giorno, l’innovativa visita in videochiamata con il dietologo e, in un attimo, l’idea di rimettermi seriamente a dieta mi è sembrata quasi più leggera da digerire rispetto a quelle due parole pesanti quanto una doppia panatura di prima mattina.
Paziente veterana. E chi l’avrebbe mai detto che 20 anni passati a far diete mi avrebbero fruttato tale riconoscimento?
Indecisa se fingere disinteresse o indagare il sott’inteso risvolto psicologico di quell’affermazione, ho finito per lasciar correre.
“Mi dica, come trascorre le sue giornate? Mi racconti.”
“Dottore, sto scrivendo un libro di racconti e ricette. Praticamente mi divido tra lo studio e la cucina: quando sono seduta scrivo ricette e quando sono in cucina le preparo. Poi, quando ho finito, assaggio e poi naturalmente pranzo e ceno. La sera mi addormento facendo editing di foto che parlano di cibo e quando esco è solo per andare a comprare da mangiare. Praticamente penso al cibo 23 ore al giorno perché – e lasci che glielo dica con una punta di orgoglio – dedico comunque un’oretta alla ginnastica.”.
“Di che tipo?”
“Corricchio un ventina di minuti sul tapis roulant e faccio qualche esercizio”.
Risata.
“Certo male non fa ma, sa, pensare di dimagrire con questa attività senza rivedere l’alimentazione purtroppo non funziona.”
Partiamo bene, ma non benissimo, perché so che il desiderio di indossare la tuta svanirà in: 3,2,1… .
“Sì, l’avevo intuito, dottore, altrimenti non sarei certo arrivata a questo punto di lievitazione.”.
“Solo gli iron-man teoricamente potrebbero permettersi di mangiare quasi quello che vogliono, anche se poi per ragioni di salute non lo fanno: pensi che durante una loro gara consumano anche 10/12 mila calorie.”.
Io l’unico Iron Man che conosco è quel belloccio di Robert Downey Jr condannato a indossare una tuta rossa d’acciaio che non mi pare affatto un gran divertimento.
“No, non fa per me dottore. A me 10 mila calorie risulta più pratico smaltirle in 50 giorni.”.
Lo vedo sorridere ancora con un leggero ritardo nella finestra di Skype.
“Purtroppo questo periodo non agevola perché spesso subentra la noia e mangiucchiare di continuo è più semplice perché si ha tutto sotto mano.”
Ma quale noia? io non sono annoiata, io mangio perché mi piace mangiare. Tuttavia decido di non dirglielo, sarebbe irrilevante per la risoluzione del problema e sarà bene che per un po’ me ne dimentichi pure io.
“Lo sa vero che nel suo caso è solo una questione di volontà? Devo dirle che questo è un piccolo svantaggio dei pazienti veterani: perdono l’entusiasmo più facilmente di quelli che si mettono per la prima volta.”
E aridaje: ma va bene, me l’appunto questa spilletta honoris causa, se ci tiene tanto. Ne ha una per caso d’oro, d’argento o bronzo a seconda dell’anniversario? Sono vent’anni che seguo diete ma ora che so che anche lei sa, siamo forse a cavallo?
E comunque no, non vorrei sembrarle nervosa, il meglio lo do quando comincio.
“Vuole partire con il metodo più strong o preferisce optare per l’opzione più soft?”.
Ah, eccolo un primo vantaggio dell’essere veterani: intuire subito che strong significa austerità ma di breve termine, mentre soft significa comunque austerità con l’effetto sorpresa di qualche manciata di pennette a settimana nel corso di una tortura di lungo termine.
Ma per piacere, non scherziamo, si tenga pure i piatti di pasta, fossero quelli il vero problema. Ho tentazioni ben più nutrienti da cui tenermi lontana.
“Macchè dottore, io voglio sempre tutto e subito, son fatta davvero male. Guardi, le dico che vorrei pure tornare ad una 44 senza passare per questa tortura, ma ormai che ci siamo facciamo tutti i passi previsti. Ho deciso che uscirò da questo isolamento meglio di come ci sono entrata. Partiamo con la versione strong, che per mollare la presa si fa sempre in tempo.”.
“Mi raccomando la precisione, perché sa, chi già conosce le regole del gioco di solito tende a prenderle sottogamba. Deve pesare tutto e non andare ad occhio.”
D’accordo, dottore, ora davvero mi arrendo: mi ha passata di livello definendomi un’esperta delle regole – e questo posso anche accettarlo – ma darmi di quella che va “a occhio” no, eh?
Nutro profondo rispetto per la bilancia da cucina, quanto insofferenza per quella da bagno.
Resto pur sempre un’amante della pasticceria, con tutti i contro che mi porto inequivocabilmente addosso ma anche i pro, tra cui, per esempio, la precisione. E poi ad occhio io non faccio neppure una frolla perché il rispetto delle regole, che siano quelle dell’isolamento o quelle del bilanciamento di una ricetta, ce l’ho nel DNA.
“Sono pronta per imbarcarmi in questa nuova avventura dottore. Comincio domani, però.”
Oggi mi prendo la libertà di impastare e assaggiare per un’ultima volta, ricordando quell’ultimo giorno di libertà che mi pesa molto più di questo.
Era il 7 Marzo e passeggiavo con Gabriele per una Venezia già deserta con la macchina fotografica appesa al collo e due sacchetti di Bussolà ed Esse di Burano nella borsa.
Dicono che questi “golosessi”, in passato molto più poveri di ingredienti e per nulla dolci, venissero preparati – quella volta sì, sicuramente ad occhio – dalle mogli dei pescatori affinché avessero qualcosa di nutriente da mettere sotto i denti durante le lunghe permanenze in mezzo all’acqua.
Notizie più interessanti le ho trovate nel libro A tola coi nostri veci – la cucina veneziana, in cui si racconta anche che la vecchia abitudine veneziana era quella di mangiarli ai pasti al posto del pane oppure con il caffellatte al posto dei biscotti, visto che non erano affatto considerati tali per la mancanza di tutto quello che rende i biscotti tali: grassi e zucchero.
C’era perfino chi usava intingerli nel vino “par aver… na bona digestione e na perfetta sanità de stomego.”.
Nello stesso libro si dice anche che “Se ghe ne trova in tute le panetterie de lusso, ma quei che ga più rinomanza i vien de San Piero in Volta, dove se pol trovarghene anca de quei fati co na pasta leziermente sucarada. Conservai in scatole de lata, opur, desso, in sachetini de celofan, i se conserva freschi e croccanti anca par tre mesi. I veri bussola “classici” i xe fati co la normal pasta da pan: farina, acqua, leva de birra e sal.”
Altro che burro, tuorli e soprattutto, vanillina: a malapena una spolverizzata di zucchero nell’impasto in quelli più rinomati.
Buono a sapersi: quelli che si trovano oggi sono solo il ricordo di una tradizione che nel tempo si è arricchita di ingredienti tali da trasformarli in vere e proprie frolle.
Ecco, prometto che ne mangio solo uno e poi, con la spilletta sul petto, sono pronta a salpare per l’ennesimo viaggio.
La ricetta di Bussolà ed Esse di Burano, i golosessi veneziani
NOTE
AROMI
Non ho mai considerato molto Bussolà ed Esse di Burano, comunemente reperibili in commercio, una gran goduria, fino a quando non ho deciso di prendere in mano alcune ricette e studiarne le combinazioni.
Che siano in forma di “S” oppure chiusi a ciambella, questi grossi grissini a forma di cerchio appartenenti alla tradizione veneziana sono oggi a tutti gli effetti delle frolle, non molto generose in fatto di burro ma sicuramente ricche di grassi per la presenza di numerosi tuorli.
Senza voler mancare di rispetto a chi li prepara in questo modo, mi sembrava ci fosse sempre un qualcosa che me li rendeva indistinguibili nel gusto.
Ho capito poi che ciò era dovuto alla presenza della vanillina, un prodotto sintetico, in origine non utilizzato neppure nella sua forma più nobile (vaniglia) di cui pretende di evocare il sentore finendo però per impedirti di apprezzare il gusto di ogni singolo ingrediente: una buona farina, delle uova di casa e del burro da centrifuga. Se, a questo punto, frolle zuccherate devono essere, che almeno lo siano al massimo delle loro possibilità.
FARINA
Ho scelto la Farina tipo 0 100% grano italiano di Grandi Molini Italiani. Poco proteica (debole – W 200) e ricca nel gusto perché ogni suo chicco (se ne trovano circa 40.000 mila in ogni chilo) ha subito un processo di decorticazione a pietra prima della macinazione. Grazie a questo processo solo la parte sana del chicco viene macinata, mantenendo inalterate fibre e contenuto nutrizionale. Per questa lavorazione si impiegano miscele di grani selezionati, che sono garanzia di prodotti da forno leggeri e digeribili.
BURRO
Quando posso, prediligo l’uso di un burro da centrifuga, inconfondibile per il suo gusto pieno e il suo profumo di latte leggermente vanigliato. Qualunque sia il burro impiegato, in alcuna ricetta consultata ho trovato una percentuale di burro superiore al 40% sul peso della farina.
UOVA
ho sfogliato diversi libri della mia libreria per fare chiarezza su un punto: uova intere o solo tuorli? I produttori locali più noti di questi biscotti impiegano solo tuorli e in grande quantità (come Carmelina Palmisano).
L’albume rende l’impasto elastico perché fa lavorare il glutine: quest’ultimo in cottura si gonfierà leggermente per risultare invece più asciutto e croccante una volta freddo. Un impasto invece solo con tuorli sarà decisamente più friabile una volta freddo.
La ricetta del libro Venezia in cucina prevede 6 tuorli per mezzo chilo di farina, mentre quella trovata nel libro L’arte di vivere a Venezia suggerisce 5 uova e 2 tuorli per 500 g di farina.
Io ho testato la seguente ricetta anche con 1 uovo e 5 tuorli e l’impasto non era affatto male.
COTTURA
Si dice che per dorarli in superficie sia necessario avere del vapore dentro la cavità del forno cosicché possano “sudare” (fonte Venezia in cucina). Non ho mai provato, ma allo scopo potrebbe essere d’aiuto una pentola d’acqua calda in cottura posta sotto la teglia.
INGREDIENTI
240 g zucchero
170 g burro a temperatura ambiente
la buccia grattugiata di un limone non trattato
2 pizzichi di sale
6 tuorli
500 g farina tipo 0 (debole o per dolci)
PROCEDIMENTO per
Bussolà ed Esse di Burano
- Nella ciotola della planetaria lavorare il burro con lo zucchero e il limone. Quando il composto sarà cremoso aggiungere il sale e i tuorli, un po’ alla volta, quindi la farina.
- Lavora poco e a bassa velocità, giusto il tempo di ottenere un impasto omogeneo.
- Compatta con le mani, avvolgi il tutto con pellicola e riponi in frigo a rassodare per almeno 2 ore.
- Trascorso il tempo, porta il forno a 180° C statico.
- Estrai l’impasto dal frigo. Taglialo in pezzi da 40 g che stenderai in forma di salsicciotti lunghi circa 15 cm. Per realizzare i Bussolà sovrapponi le due estremità a formare una ciambella. Per le Esse invece, piega il bastoncino in forma di ‘S’.
- Sistema Bussolà ed Esse sulla teglia (meglio microforata) coperta di carta forno e inforna per circa 15/20 minuti. Apri poi la porta del forno e abbassa la temperatura a 100° C. Tienili dentro per altri 10 minuti ad asciugare con la porta leggermente aperta. I bis-cotti si chiamano così perché di norma subiscono una doppia cottura.
- Risulteranno pronti quando belli dorati in superficie e non eccessivamente scuri sul fondo.
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