Amanti della mania del controllo, questo scarabocchiare lo dedico a voi.
Perché io vi comprendo profondamente e per questo posso dire che vi compatisco e vi giustifico, anche se da qualche tempo sono uscita dal gruppo, con la pressa di Jack Frusciante.
Puglia, estate 2024. Tra un bagno ed un pasticciotto ci ho infilato un corso di orecchiette. L’ho deciso così, su due piedi, anzi su due scalini di una delle tante chiese barocche in una Lecce insolitamente silenziosa e molto scarica di turisti.
“Lezione di cucina con orecchiette e abbinamento di vini” presso La Strada del Vino Wine Bistrot, sotto la guida dell’affascinante Ilenia, tour operator salentina con una solida passione per la cucina di una volta, appresa girando di casa in casa di donne anziane custodi del sapere gastronomico pugliese.
Luglio inoltrato, anzi, agosto, me l’ero scordato.
Vacanze last minute a cui pensare, una casa da smontare e a breve da lasciare, un nuovo tetto da trovare.
Il tempo in queste settimane è scivolato via come una valanga, veloce e inarrestabile.
Treviso è già vuota ma piena di una luce che brucia, il che è davvero perfetto per crogiolarsi in una malinconia che arrangio sulle note di “Azzurro” di Adriano Celentano: un po’ nostalgica ma tutto sommato pimpante.
Sento il bisogno di festeggiare pubblicamente un anniversario, una relazione che dura stabilmente da esattamente 3 anni, giorno più, giorno meno.
Una partenza difficile, a tratti sofferta, a volte quasi al limite dell’esaurimento nervoso, con qualche notte insonne e capelli che, per un breve periodo, cadevano a ciocche mentre ora… farebbero invidia a Sansone.
Un cambio di passo sofferto ma irrinunciabile, per il quale ho dovuto abbandonare anni di abitudini sbagliate, sbilanciate, affaticanti, fintamente equilibrate. Un colpo di spugna al passato, un cambio radicale, eppure, in fin dei conti, così naturale.
Mi era stato detto: “Fidati, tieni duro, questa è la strada giusta ma… ci vorranno mesi di assestamento. Solo la tenacia ti porta al risultato, non l’occasionalità.”.
Di sole e d’azzurro. Ce l’hanno sempre raccontato, in musica e parole, che l’azzurro è lì, sopra le nuvole, dopo la pioggia ed il gelo, sopra i nevai, e anche oltre le stelle ed il cielo. E questo accade sempre, ciclicamente, anche se a volte si vede solo fango, pastosissimo fango fino alle ginocchia che come argilla igroscopica drena tutti i nostri succhi vitali.
Continua a leggere…Ero alla ricerca di qualcosa di nuovo, qualcosa di raro, qualcosa di buono.
Non accontentarmi di quel che è in vetrina mi appartiene. Scavare sotto la sabbia anche. Sono sempre alla ricerca di qualcosa da apprendere, da capire, da rielaborare, da risolvere, da fotografare, da cuocere, da creare, da colorare.
E dopo quasi 5 anni torno a scrivere, ma soprattutto a fare, la Tarte Tropézienne, questa volta a firma Cyril Lignac.
Tropézienne di cui ho parlato qui, croce e delizia che tanto amo e che tante volte mi ha mandata in confusione.
Qualche cosa che forse non sapete sul Tiramisù o Tiramesù (in dialetto veneto), dolce iconico della mia città, Treviso.
Il Tiramisù o Tiramesù è nato nel ’72 a Treviso, nella cucina del Ristorante Le Beccherie, su idea della proprietaria e del suo pasticcere di rientro da un periodo di lavoro in Germania.
Nel 2010 la ricetta originale del Tiramisù è stata depositata con atto notarile presso l’Accademia Italiana della Cucina, a garanzia della sua autenticità.
La sua forma autentica, nonostante lo si veda oggi in forma di “mattonella”, è circolare e ogni porzione equivale ad uno ‘spicchio’.
Sono rientrata da una manciata di giorni da Marrakesh ma credo di aver dimenticato la bussola nei vicoletti angusti del Suq, la vivacità sul terrazzo assolato del caffè da cui osservavo la brulicante Piazza Jamaa el Fna, e la voglia di fare nel tè alla menta che sorbivo ai bordi della fontana del Riad.
Continua a leggere…Dicembre 2023: si tornava dalla Slovacchia, io e Lucia. Quella notte a Vienna si configurava come la tappa finale, a sfondo più mondano, di una settimana passata con gli occhi incollati al pc a ragionare di fotografia.
Per dirla più schietta: sarebbe stata una “due giorni” in cui prendere d’assalto gli hot-spot della città asburgica con quella determinazione che scorre nelle vene solo di chi ha il palato debole per i pezzi da 90 della pasticceria.
Più io che lei, ma che importa, l’unione fa la forza.
Nel 2004 avevo 25 anni, mi ero da poco laureata e lavoravo nel customer care di una grande multinazionale, di quelle che seducono te e tutta la tua famiglia in giovane età promettendoti carriera e un posto “sicuro”: una di quelle del Nord-Est, imponenti, con i vetri specchiati. Eravamo tanti, tantissimi pesci in un solo acquario: così lo chiamavano quel cubo costruito lungo la statale appena fuori da Pordenone.
Insomma, nuotavo nei bassi fondi del grande palazzo e solo dopo qualche mese avevo già mangiato così tanto fango che neanche una carpa nel Po. Trovavo asfissiante tutto, dalla a alla z: la sveglia alle 6 del mattino, le 2 ore di strada spesso dense di nebbia, ricevere una media di 100 telefonate al giorno di gente lamentosa e infine dover sottostare ad una routine senza scampo: 8-13-mensa-14-17.
Stavo meglio qualche mese prima, studentessa in stage, a 600 euro al mese in giro per l’Italia.
Ho sempre un pochino snobbato lo Strudel di mele con pasta frolla dell’Alto Adige preferendo a questa versione burrosa e “biscottosa” quella più leggera e croccante con pasta matta. Prima di pubblicare la mia versione, a fine 2018, impiegai settimane a ricostruire una ricetta più che soddisfacente peregrinando tra interpretazioni di grandi maestri della pasticceria internazionale, video casalinghi di nonne dell’est, articoli in lingua straniera e antologie di cucina scovate nelle librerie di casa.
Cosa succede se, ad una torta, togli il burro senza rimpiazzarlo?
Molte volte dicono nulla di buono, eccezione fatta per il Pan di zucca e crema di marroni.
La letteratura culinaria in merito racconta che il dolce perderà morbidezza, che potrebbe risultare asciutto. Dice anche che il sapore potrebbe essere compromesso (leggi non sapere di niente) e, infine, avere una texture più fragile.
Insomma, dati i pronostici, ma chi me lo faceva fare di togliere i grassi? Eppure c’era qualcosa in queste premesse che suggeriva di essere sulla strada giusta dato che ero alla ricerca di un dolce autunnale dalla classica consistenza del “banana bread”, quel pane molto umido, soffice e vagamente cioccolatoso, non troppo zuccherato, non troppo pesante e non troppo dolce, appunto.
Tante ragioni per cui qualcuno l’ha chiamato, non a caso, pane.
Sono orgogliosa della mia smodata passione per le torte di mele: non fosse per questo amore incondizionato non sarei mai arrivata a sfornare qualcosa che merita di essere chiamata, appunto, Tarte Tatin di mele caramellate.
Rappresenta un capolavoro di matrice francese che forse in Italia trova il suo corrispondente – in termini di fama – nel Tiramisù, eppure… eppure.
Eppure (proprio come nel caso del Tiramisù), sebbene declinazioni di questo archetipo culinario vengano sbandierate ai quattro venti con oltre 174 mila esemplari su Google, solo pochi esemplari possono davvero fregiarsi di questo nome.
La foto di una frolla bretone alle nocciole con fichi freschi e uva è quel che resta di qualche giorno di vacanza passato sui colli romani nella casa degli zii, situazione che da ragazza ricercavo ad ogni possibile ponte scolastico. Salivo sul treno con un’amica, un paio di mappe e lo zaino e, dopo una serie di cambi e coincidenze, raggiungevo la loro grande casa che sedeva imponente sulla collinetta tra viti e ulivi ai piedi di Colonna.
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