Quel giorno in cui sono partita per Mantova avevo messo in valigia poche cose da vestire, ma non avevo scordato un cesto di fiori e qualche bottiglia di vino.
Qualcosa mi lasciava intendere che ci sarebbe stata una gran tavola imbandita al mio arrivo e, conoscendo un pochino i piatti locali, sapevo che avrei fatto centro portando una Barbera D’Asti Superiore Docg.
Non avevo sbagliato.
Dicono che i social media siano il non luogo della socializzazione, il refugium peccatorum di coloro che temono le relazioni sociali, la strada più semplice per sottrarsi al reale e avvolgersi nel proprio bozzo crogiolandosi nel mondo della finzione.
Si sostiene che tra le pagine virtuali, fatte per lo più di immagini e citazioni, le persone riescano ad anestetizzare i propri dolori, sedotte da proiezioni di futuribili se stessi, dimenticando che, per restare ben in sella alla vita, è importante essere presenti e coscienti di se stessi, nel corpo e nello spirito, nel qui ed ora.
Sono in partenza e sono tesa, perchè devo farlo in un momento in cui so che sarebbe meglio non mi allontanassi da casa.
Sono in partenza e sono felice, perchè tornare in mezzo alla natura mi ricorderà che c’è qualcosa di bello per cui vale la pena sopportare tante quotidiane brutture della vita, dei tempi e della società.
Sono in partenza e sono emozionata, perché da quando sono rientrata dalla Val Zoldana non ho più fotografato per puro piacere, ma unicamente per dovere.
É passato un anno dal mio ultimo viaggio in Borgogna e non so dire quali siano le cose che più mi mancano.
Ho trascorso gli ultimi mesi a rispolverare ricordi, intrufolandomi in qualsiasi pertugio come un cane da tartufo: si era reso necessario per la stesura del libro ma è risultato comunque benefico per lo spirito in un momento in cui desiderare di oltrepassare i confini sembrava essere un tabù.
Ogni volta che in luglio arrivavamo in prossimità di Longarone tiravo sempre un doppio sospiro: uno per il fatto che avevamo già percorso metà di quella strada che ci separava dalla meta e un altro ricordando che mamma aveva lasciato quel paese, situato lungo il Piave, giusto alcuni anni prima della notte in cui il mostro d’acqua scavalcò la diga del Vajont per distruggere tutto quello che avrebbe trovato nella vallata.
Duemila anime, interi paesi, strade, edifici, ricordi. Continua a leggere…
Di piaceri e paure, e di piaceri che spesso generano paure.
Quanto ai primi, Brecht dava questa definizione: il primo sguardo dalla finestra al mattino, il vecchio libro ritrovato, volti entusiasti, neve, il mutare delle stagioni, il giornale, la dialettica, fare la doccia, nuotare, musica antica, capire, musica moderna, scrivere, viaggiare, cantare, essere gentili.
Avrò riletto questo elenco almeno dieci volte chiedendomi se, sotto traccia, si celasse anche un ordine di importanza e cercando di capire quali io trovassi parimenti condivisibili.
Ho impacchettato Maggio con una certa dose di sollievo.
Se mi avessero detto cosa avrei trovato dietro le porte di questa fase 2 non mi sarei alzata così volentieri dal letto quel 4 mattina.
Allo scadere dell’isolamento pensavo di aver schivato gli ospedali e invece mi sono ritrovata nel mezzo del fosso con entrambi i piedi e nella peggiore delle posizioni, tentando di interpretare a distanza come curare mio padre, senza sapere come sarebbe andata a finire e sperimentando nuovamente sulla pelle quanto i problemi di salute siano una delle cose più spiazzanti del vivere. Continua a leggere…
“E allora, mi dica un po’, cosa sta succedendo?”
“Vede dottore, è un po’ come se avessi festeggiato in 5 mesi un Natale, un Carnevale e una Pasqua e poi avessi trasformato ogni altro giorno non festivo, in un altro Natale. Insomma, stamattina ho riesumato la bilancia che fino a 2 ore fa non sapevo nemmeno dove fosse sepolta e ci sono salita per la prima volta dopo circa 1 anno. Le devo dire che mi si è aperto un mondo di numeri improbabili quanto quelli del lotto.”. Continua a leggere…
Ci sono cavalli di battaglia e cavalli di battaglia.
Il mio è bianco, ha forme croccanti, un cuore morbido. No, non è un unicorno e, soprattutto, non può non piacere.
Modesta, eh?
In questo caso, dire le cose esattamente come stanno, correndo qualche rischio di peccare di tracotanza, ha il suo perché: ammetterlo contribuisce ad abbattere un muro di convinzioni che la maggior parte delle persone si è costruita rispetto a questo dessert.
Un muro di “non mi verrà mai” che sembra insormontabile e che lo rende uno dei dolci più affascinanti forse proprio perché apparentemente irraggiungibili.
Tutto-il-contrario.
Ho sempre avuto una certa passione per le trecce. La prima volta che ne ho tenuta una tra le mani avevo sei anni e si trattava proprio della mia: mamma aveva consegnato me e Laura alla giovane parrucchiera Michela che prima aveva lavato le nostre folte chiome e poi era passata ad intrecciarne le ciocche lucide. Infine ne aveva serrato le estremità in un nastro colorato: rosa per me e rosso per Laura.
La chiamano la brioche dell’infanzia, i cugini d’oltralpe, quella della nonna, quella di cui si tramanda ricetta di madre in figlia da tempi remoti, con un solo punto fermo: la brioche mousseline francese deve averne tanto, di burro, almeno un 40% sul peso della farina.
Pure nonna Giovanna mi deliziava, nei rituali pomeriggi domenicali, di burro, ma pratica e sbrigativa com’era me lo spalmava su una fetta di pane bianco morbido, lo stesso da sempre detestato da mio padre perché “sa di altro, non è pane”.
Me lo porgeva su un piattino bianco di ceramica spessa e poi, da un barattolino di latta leggero, faceva scendere una pioggia di zucchero: quale migliore modo per rifinire il tutto con un velo di croccantezza?
Non c’è nulla di più gratificante di prendere in mano i colori e dipingere. In assenza di colori, si possono usare le verdure.
La mia focaccia decorata con verdure (o Gardenscape Focaccia) l’ho chiamata Giardino Zen: è uscita dalle mie mani in un pomeriggio di questo lungo isolamento forzato.
L’arte della decorazione del pane e dei lievitati è una tendenza molto in voga in questo periodo ed esercitarla è stato appagante e rigenerante.
Si tratta di una focaccia realizzata con lievito di birra e purea di patata lessa, di cui ho decorato la superficie con l’ambizione di riprodurre un piccolo giardino fiorito. Continua a leggere…
Si può continuare a sognare in un periodo di paura?
Non pensavo mi sarei ritrovata a scrivere qualcosa a proposito del Covid-19, ed ho impiegato giorni a capire come tornare a digitare parole sulla tastiera che non ne risultassero contagiate.
Mi terrò lontana dall’esprimere un’opinione a riguardo, tuttavia sento l’urgenza di raccontare come quest’onda anomala e imprevedibile sia riuscita a infrangersi, non senza conseguenze, sulle fresche e delicate pareti di un mondo che avevo da poco costruito su intrecci di creatività, sogni e progetti. O almeno questo era quello che pensavo. Continua a leggere…
Praticare la Cromoterapia in cucina: realizzare questa pie salata con coriandoli di verdure risulterà calmante e liberatorio.
“Il colore soprattutto, forse ancor più del disegno, è una liberazione.”
Una saggia ed anziana zia, qualche tempo fa, mi raccontò che la percezione del tempo cambia sostanzialmente all’aumentare dell’età.
Ascoltai quella frase, senza prestar troppa attenzione, seduta sul divano verde pastello del suo salotto dove, da che ho memoria, ama coltivare la sana conversazione con parenti e conoscenti.
Seppure inconsapevolmente, riuscii a tenere traccia di quelle parole: “Sai Lucia, quando si è piccoli i giorni sembrano mesi ed i mesi sembrano anni. Accade invece che, quando invecchi, si verifichi l’inverso: le ore sembra scorrano come minuti e gli anni scappino via come mesi.”