“La chiarezza è la buona educazione dello scrittore”: che magnifica espressione quella del francese Renard.
Di ritorno da quest’ultimo viaggio alla scoperta delle valli meno note dell’Alto Adige mi ritrovo a far quadrare parole, ricette e immagini in uno spazio delimitato e sento che questa “buona educazione” sarà forse la mia sfida più grande.
Condensare, senza risultare banali e telegrafici, il racconto di esperienze ad alto impatto emotivo non è cosa per tutti e, soprattutto, ormai, non è cosa di tutti i giorni.
Mentre, a metà giugno 2021, lasciavo la calura veneta per raggiungere le dolci vallate altoatesine, riflettevo sul fatto che mi ero dimenticata di quanto buon vivere ci fossimo tutti – democraticamente – privati in questi mesi, e per di più senza fiatare. In questo tempo sono spesso finita con gli occhi appesi alle immagini da cartolina che alcuni travel blogger rispolveravano sui social media a memoria di passati gloriosi dedicati a fare e disfare valigie in ogni parte del mondo: le osservavo con un sentimento misto di rassegnazione e smarrimento.
Le penne alla vodka, il risotto fragole e champagne, i tortellini panna e prosciutto, il pollo in gelatina, il gelato al puffo, la crêpe Suzette: accidenti se sono stati tosti da digerire i gloriosi anni ’80.
C’è chi sostiene che il famoso “fisico bestiale” di Carboni servisse solo a questo.
“Volli, sempre volli, fortissimamente volli.”
Per raggiungere l’obiettivo che aveva e divenire quindi quel grande letterato che poi fu, Alfieri chiese un bel giorno ad un suo servitore di legarlo alla sedia, assumendo l’unica posizione che gli avrebbe permesso di realizzare il suo sogno: essere un grande scrittore tragico.
Lo chiese dopo aver capito che la sua prima tragedia, che scrisse mosso da “noia, e il tedio d’ogni cosa, misto a bollor di gioventú, desiderio di gloria, e necessitá di occuparmi in qualche maniera, che più́ fosse confacente alla mia inclinazione” lo aveva trasfigurato, nel giro di pochissimo tempo, da giovane dissipato a grande autore tragico agli occhi del pubblico.
Continua a leggere…Prevedo che la brioche gomitolo di lana (o wool roll bread) starà all’imminente lockdown come Luis Fonsi sta – o meglio, stava – agli aperitivi sul lungomare nelle calde sere estive.
Non voglio attribuirmi meriti di chiaroveggenza, solo una discreta capacità di prendere atto dell’ineluttabilità di certi eventi.
Mi prefiguro una Pasqua non meno silenziosa di quella del 2020: credo sia questo il motivo che mi ha spinto a piantare ranuncoli e margherite anzitempo. Perché se quel giorno dovrò apparecchiare solo per due, che almeno ci siano tracce, fermenti di altra vita intorno a noi.
Io non lo sapevo. E tu?
Non sapevo quanto valore potesse avere un cucchiaino di zucchero e che ciò che spesso viene additato come “un male”, per qualcun altro rappresenta la vita.
Continua a leggere…Il 6 gennaio ho smesso di assumere zuccheri.
Non si trattava logicamente di un impegno per la vita, ma solo di una necessaria assunzione di responsabilità nei confronti di un corpo un filo maltrattato durante i solitari bagordi del Natale.
Niente pasta, pane e fratelli, niente alcol, dolci et similia ma, soprattutto, niente frutta.
Ohibò, dottore, ma sicuro-sicuro?
Gli zuccheri vanno eliminati del tutto. Poi, pian piano, li reintroduciamo.
Trovo che la pasta fresca ripiena sia l’espressione più stravagante e allo stesso semplice del recupero alimentare domestico.
Non solo, sono convinta possa facilmente sorprendere chiunque per via di quel ripieno che non si riesce ad intuire fino a quando i denti non saranno affondati sulla pancia gonfia del tortello.
Ho trascorso le ultime ore del 2020 infilando petali di cereali al cacao in piccoli coni che avevo plasmato a partire da una massa di biscotti e burro. Le avevo create senza particolari prospettive, solo per misurarmi in quell’esercizio manuale che, miracolosamente, riesce sempre a darmi ossigeno nei periodi di difficoltà emotiva.
Continua a leggere…Mancano solo pochi giorni al rituale del panevìn, l’alto “panettone” di sterpaglie e legna accatastata, piazzato in mezzo ai campi ghiacciati, alla cui base viene appiccato il fuoco la sera del 5 gennaio in alcune zone del nord Italia.
Mai come in questo momento sembra quasi urgente l’esigenza di avvertire negli occhi le fiamme del vecchio che brucia, quel tempo appena passato di cui non desideriamo conservare alcune ricordo, ma solo la cenere.
Voci dicono che non si farà e solo il dubbio mi è bastato per spingermi ad infornare teglie su teglie di Pinza, quel dolce della tradizione contadina che da sempre, invece, ricevo in omaggio da mia suocera il 6 Gennaio.
C’è qualcosa che fai di continuo e che tuttavia non ami particolarmente fare? Io sì, e la risposta è proprio nell’immagine di copertina: le tartellette al caramello salato e cioccolato fondente.
Penso di aver realizzato, negli ultimi anni, almeno 70 volte questo dessert, dilettandomi in una serie di varianti studiate per renderlo a me più congeniale: ho provato con una base al cacao, sono passata per i biscotti frullati, ho ripiegato sulla frolla classica, ho aggiunto delle arachidi nella crema al caramello o ho perfino azzardato una ganache a minore contenuto di grassi.
Per come la imbastissi ogni volta, la sensazione alla fine restava immutata. Per dirla alla Johnny Stecchino: questo dessert non me somiglia pe niente.
Ricordo del mio Natale 2020: semi-serio ritratto di famiglia dal titolo “quest’anno faccio con quello che ho”, sperando che il 2021 mi restituisca tutto il calore umano che quest’anno non ho potuto sentire.
Continua a leggere…Sono distesa sul divano con la boule dell’acqua calda sulla pancia, uno dei più significativi momenti di sballo degli ultimi tempi.
Questo dicembre è arrivato con la velocità di quella corda che, da piccolina, le amiche sollevavano sopra la mia testa: la stessa che, scendendo, rischiava di atterrarmi se non mi fossi fatta trovare con le caviglie sollevate.
Non dev’essere un caso se mi ritrovo ancora a parlare di quella corda che, a gennaio del 2020, mi ero ripromessa di saltare alle 5 di ogni mattina. Confesso pubblicamente d’aver smesso dopo circa un mese e mezzo, incapace di tenere, anche di prima mattina, quel ritmo che ha scandito questi 360-quasi-5 giorni. La verità è che ho saltellato sempre, eccezione fatta per Luglio, meravigliosa parentesi in cui mi sono ritirata in semi-solitudine a scrivere tra i monti in compagnia quasi esclusiva dei miei suoceri, cosa che a qualcuno potrebbe sembrare una maledizione, soprattutto in un anno del genere, mentre nei miei ricordi ha il profumo della libertà.
Processo creativo. Non suona fiabesco, ma in verità ha molto a che vedere con il proprio mondo immaginario.
Perché sentiamo più vicino al nostro modo di sentire un certo stile fotografico anziché un altro?
Vorrei cercare di rispondere a questa domanda raccontando come approccio ogni sessione fotografica. Non ho mai scritto di questi argomenti, ma sono consapevole che sapere qualcosa di più di questo tema farebbe felice per lo meno una decina di affezionati lettori che spesso mi chiedono di sollevare le tende per scoprire un po’ di più.
La ciliegina sulla torta e… le giuggiole sulla crema.
Continua a leggere…Ci sono poche cose che mi gratificano in questi giorni quanto vedere la porta di casa circondata da capannelli di zucche. Nasce da questo il desiderio di preparare la Torta alla zucca e spezie con sciroppo al lime.
A Mantova, durante il mio ultimo viaggio, ne ho comprate di qualsiasi colore e forma, certa di poter disporre di tutto l’inverno per sperimentarle in molteplici ricette. Ma se la mantovana e la Chioggia Marina, dalla buccia spessa e dura, possono permettersi di prendere aria ancora per diversi mesi, ho scoperto non essere lo stesso per la Delica e la Hokkaido.